TEATRO
Intervista a Bruno Pennasso
Attore e regista del monologo:
“AQUILA SAPIENS SAPIENS”
Testo di Maria Letizia Compatangelo
Aquila Sapiens Sapiens
La formula utile per fare del buon teatro non è complessa come molti addetti ai ‘grandi lavori’ tentano spesso di farci credere. Ne abbiamo avuto la dimostrazione a Torino, quando al teatro Astra, con la promozione dell’AssociazioneCulturale ‘Il Mondo delle Idee’, è andato in scena il monologo di Maria Letizia Compatangelo “L’aquila sapiens sapiens”: regia e recitazione di Bruno Pennasso, musiche di Andrea Bassani.
Un testo più che buono, una attore eccellente, una scenografia sobria e intelligente e il gioco è fatto, a dimostrazione che il teatro resta vivo, godibile, frequentato: popolato quantomeno nei limiti in cui la totale e deplorevole assenza delle Istituzioni locali consente al pubblico di sapere che, su di un palcoscenico cittadino, viene rappresenta una pièce. Già, perché anche Torino è in Italia; Paese portabandiera della cultura e dell’arte nel mondo, nel quale arte e cultura sono paradossalmente più trascurate e neglette, quando non vilipese, che in ogni altra nazione del globo.
Si tratta della stessa Italia – Repubblica fondata sul lavoro dei volontari – che ancora sopravvive dignitosamente grazie all’impegno dei cittadini, appunto, di buona volontà; nel caso specifico di un’associazione la cui presidente Chicca Morone è fondatrice e rappresentante di spicco del Mitomodernismo, movimento letterario del cui manifesto furono firmatari nel ’94 poeti come Tomaso Kèmeni, Giuseppe Conte ed altri appassionati cultori della Bellezza quale valore eterno, da recuperare oggi partendo proprio dalla sua origine ‘classica’.
E così si spiega perché, ad andare in scena con il sostegno del “Mondo delle Idee”, sia stata proprio la rivisitazione di un mito, quello di Prometeo, che Maria Letizia Compatangelo ci racconta, con sapiente creatività, partendo dalla sua fine canonica. In “Aquila sapiens sapiens”, infatti, il Titano condannato da Zeus ad avere il fegato divorato da un avvoltoio ogni giorno, grazie al suo rigenerarsi ogni notte, ha stabilito un tale, intenso legame di sangue e di spirito e con l’animale aguzzino, che anche dopo il perdono di Giove si prodiga non solo curandolo nel corpo ferito, ma donandogli l’opportunità di evolvere, da selvaggio e brutale divoratore di carogne, ad aquila leggera emaestosa che spicca il suo volo, oramai assetato di sapere, verso l’umana conoscenza.
Davvero mirabile è il modo in cui la Compatangelo, attraverso un testo dal linguaggio attuale eppure d’impeccabile proprietà, ricco di spunti ironici pur nel suo colto lirismo, riesce a coinvolgere il pubblico, che segue con attenta partecipazione sia le varie fasi evolutive del rapace, sia il generoso sforzo di un mentore dalla titanica grandezza di Prometeo. Aguzzino e vittima, dunque, oramai alleati nella carne e nell’anima, costringono lo spettatore ad una riflessione profonda, a porsi domande antiche ma mai opacizzate dal tempo: vincerà la luce della Conoscenza e della Consapevolezza; vincerà quello stesso fuoco riportato all’Uomo da Prometeo, contro il volere di Zeus, a causa del quale egli è condannato al millenario supplizio.
Ad un tema assai ben scelto, nel quale i protagonisti raccontano la loro storia rivolgendosi, in realtà, alla parte ancestrale di noi dove albergano le emozioni ed i sentimenti più radicati, la godibilità del monologo si rafforza attraverso la recitazione determinante di Bruno Pennasso. Attore classico di grande esperienza, tanto versatile quanto avvezzo ad affrontare autori ‘difficili’, Pennasso riesce ad essere, da solo sul palcoscenico, aquila e titano al tempo stesso in modo così convincente da permettersi qualche misurata divagazione ‘vocale’:molto efficace ed apprezzato, infatti, il suo sottolineare la metamorfosi dell’avvoltoio in essere più evoluto attraverso un inframmezzato gracidare roco; abile e navigato il suo accompagnare le variazioni del testo spostandosi fisicamente da un leggio all’altro; perfetto l’equilibrio tra parola e silenzio, tra l’enfasi di alcuni passi e la pacatezza d’altri.
Fa da sfondo alla recitazione la musica composta ad hoc da Andrea Bressani: discreta, mai soverchiante, ingloba però il racconto in una bolla di suggestioni altalenanti tra il denso e il lieve, a generare un’esemplare armonia d’insieme. Il tocco di più marcata attualità, poi, lo hanno dato le immagini proiettate sullo schermo di fondo e gli effetti di luce creati da Mauro Panizza.
Si può allora concludere asserendo, a cuor leggero, che gli spettatori delle due repliche de “Aquila sapiens sapiens” non hanno trovato nei 70 minuti direcita, alcun motivo di delusione o di perplessità. Sono piuttosto usciti dall’ Astra con una stima riconfermata verso il buon teatro, con una maggiore attrazione verso lo svago intelligente, con la convinzione che si può ancora godere appieno della cultura vera: e, nella fattispecie di quest’opera, che anche senz’ali di aquila si può spiccare magicamente il volo verso mete alte quanto da tempo immemorabile lo sono la speranza, la bellezza, il senso d’appagamento che dà il poter umanamente crescere e maturare sempre, in un’ascesa senza fine.
Anna Antolisei
Maggio 2014