Un articolo di Diego Gabutti
Secondo Eugenio Selman, medico di fiducia della nomenklatura cubana, Fidel Castro camperà minimo fino ai 140 anni, due volte più a lungo dell’Unione sovietica. Si mordano le mani, nell’aldilà, le anime sante di Pol Pot e d’Evita Peron, di Pancho Villa e di Ho Chi Min, di Lev Trotzky e dei Tre Caballeros. Cuore d’acciaio, polmoni di ghisa, muscoli e nervi di cemento armato, il revolver alla cintura, un sigaro eternamente stretto tra i denti, il líder maximo è una specie di cyborg biblico, saggio e longevo come Matusalemme, supercorazzato come Robocop.
Nessuna vecchia cariatide totalitaria al mondo è popolare quanto il caudillo rosso dell’Avana. Soltanto il suo socio al cinquanta per cento nell’impresa della rivoluzione cubana, Ernesto Guevara detto il “Che”, e il primo e più pericoloso dei suoi antagonisti, John Fitzgerald Kennedy detto JFK, hanno avuto altrettanta presa sull’immaginazione dei contemporanei. Erano entrambi più fascinosi e romantici di lui: Kennedy beveva champagne dalla scarpina di cristallo di Marilyn Monroe, Che Guevara anticipò di dieci anni Easy Rider e lo zen della motocicletta. Eppure Fidel li ha seppelliti entrambi e adesso occupa da solo l’intera scena. C’è un motivo: quelli erano dei semplici eroi, umani e fin troppo umani, tant’è vero che una pallottola ben mirata ha potuto liquidarli facilmente, mentre Fidel è un supereroe, al punto che vivrà fino ai 140 anni minimo. Castro è il personaggio, inoltre, d’una telenovela ideologica, anzi d’un drammone lumpen-elisabettiano, pieno di sorprese e colpi di scena: la crisi dei missili, una figlia ferocemente anticastrista, i tentativi della CIA di farlo fuori a mezzo di sigari esplosivi, il berretto da giocatore di baseball, l’amicizia con Maradona e la Sierra Maestra.
Su di lui vegliano le Giovani Marmotte del suo fan club planetario: la Gestapo cubana, Gianni Minà, gli Inti Illimani, Sabina Guzzanti, Oliver Stone, Jovanotti, il dott. Eugenio Selman e tutti insomma i “perfetti idioti latinoamericani”, per citare il titolo d’un libro famoso su Castro e seguaci. Non sarà simpatico, avrà anche l’aria ottusa, sarà un campione di cattiva retorica, un po’ quaquaraquà, un po’ avvocaticchio. Però piace. A differenza degli altri leader comunisti del XX secolo, da Lenin al Presidente Mao, Fidel Castro non è mai stato un “pensatore” né tantomeno un “teorico”: nel secolo delle parole vane e vuote, “castrismo” è una parola particolarmente vuota e vana. Però c’è chi guarda a lui come a un maestro di filosofia: per esempio Bertinotti e la Ferilli, altri due famosi maître a penser.
Uno scrittore cubano, Heberto Padilla, che un tempo gli fu molto vicino, diceva di lui: “Castro cambia piani e idee ogni volta che orina. Cuba è un paese governato dalla vescica di quest’uomo”. Castro piace come piaceva Cicciolina. Piace che se ne stia lì, il revolver alla cintura, un sigaro stretto tra i denti, mentre fa pipì sui cubani con sguardo fiero e fiammeggiante, non un uomo in carne e ossa, ma una maledizione della mummia vivente. Be’, “vivente” nel suo caso è dire poco. Stiamo parlando d’un uomo che camperà minimo fino ai 140 anni. Più a lungo di lui, tra le icone della sinistra immaginifica, vivrà soltanto l’Ulivo, che secondo Romano Prodi “è eterno, è millenario”.