Una nota sul comico e il sacro

Era un bel po’ che non riprendevo in mano uno dei libri che conservo più presenti: Homo Ludens di Johan Huizinga, la cui scoperta devo, verso i quattordici anni, a padre Mario Flecchia SJ: Huizinga e Orazio a mostrarmi la sua via della Fede, che si fondava su quello che per lui era il più generoso dono di Dio: il senso del gioco, del quale il il ridere è la manifestazione più alta e complessa.

In fama di latinista, uomo parco di parole e cibo, netto nel giudizio, e oggi, da un suo inno alla Madonna di Valsola in dialetto garessino – una coiné tra ligure e piemontese – intravedo anche poeta non soltanto estemporaneo, a lui devo quanto so circa le Cose Supreme, che sinteticamente espose intorno a un episodio di cronaca, non ricordo come, affiorato durante una riunione famigliare conviviale. Era quel giorno gran fatto di cronaca locale la reazione d’un marito cornificato. Turnista di notte, tornato a casa per un guasto dei telai, trovò la moglie a letto con un amico. Non tanto questo fatto aveva sdegnato l’uomo, quanto il caldo nell’appartamento, scaturito da una stufa economica in piena funzione, mentre avrebbe dovuto essere spenta. Anche cacciatore, davanti a tanto spreco, l’uomo, a fucile spianato, impose ai due traditori l’aut aut: aut una rosa di pallettoni in pancia, auto entrambi posare le loro due chiappe sul piano rovente della stufa. I due dovevano vedersela brutta, se scelsero tal soluzione. L’uomo poi aveva accompagnato i due al pronto soccorso, dov’era stato denunciato e arrestato dai carabinieri per un qualche articolo del codice penale.

Due avvocati tra i commensali, il punto divenne: quanto legittimo l’arresto. Padre Mario ascoltava e sorrideva, per poi, a precisa domanda, argomentare; “Quando ci preparavamo per diventare confessori, a spiegarci la complessità e profondità del sentimento della gelosia, un teologo ci raccontò che in Paradiso un colpo di fucile ben mirato da dietro una nuvoletta facesse secco lo Spirito Santo svolazzante in forma di colombotto. E san Pietro chiamò Gesù che, invocato il Padre, lo resuscitò. Una due dieci volte, e san Pietro, persa la pazienza, invitò Gesù a chiedere al Padre, la prossima volta, di paralizzare il braccio del malvagio. Passa qualche giorno, e san Giuseppe va da Gesù a domandargli di rendergli la funzione di un braccio, che s’è inesplicabilmente bloccato. E Gesù: “Ma devi proprio sparare allo Spirito Santo non appena assume le forme di colomba?” E Giuseppe: “Non posso resistere. I motivi personali sono troppo forti.”

Insomma, la gelosia, devono imparare i confessori, è un sentimento naturale particolarmente devastante, come tutti i sentimenti che ridicolizzano una persona davanti a una comunità, come si poteva cogliere anche nel comportamento del marito del fatto di cronaca. Egli aveva punito i traditori ridicolizzandoli, cioè infliggendo loro, lui però volontariamente, la stessa punizione che quelli infliggevano a lui cornificandolo: un atroce ridicolo davanti alla comunità.
Padre Mario passò poi a spiegare che la persona nulla teme di più del ridicolo, e per una ragione ben precisa: il riso è il tratto specificamente umano, che esprime il più bel dono di Dio all’umanità, l’elemento che differenzia l’uomo da tutti gli altri animali. Era una convinzione di Padre Mario, un suo modo di intendere il rapporto tra Dio e l’uomo, cui uno dei due avvocati oppose la forza demoniaca devastante della derisione. E padre Mario: “Certamente vero. Esiste un uso perverso del riso come del sesso. Ma entrambi discendono da Dio, come il libero arbitrio nostro nel loro uso.”

Quelle stesse ragioni di prestigio sociale che avevano eccitato il marito cornificato a un tipo di punizione che padre Mario definì dantesca, spinse i due avvocati a opporre pandette a teologia con un complicarsi dei ragionamenti, i cui rimandi in gran parte mi sfuggivano, ma non che padre Mario SJ sapesse molto meglio argomentare. Fu così, per la sua evidente vittoria dialettica, che imparai a prendere sul serio le ragioni della teologia e della filosofia e del gioco: dell’Homo Ludens, capace appunto, come il marito, attraverso il gioco e il riso di evitare un doppio omicidio, perché, fu la incomparabile stoccata ai due legisti di padre Mario: ‘Soprattutto le ragioni del diavolo vanno prese molto sul serio.” E passò a esaminare, entro il riso, il profondo valore sociale della satira oraziana, elaborazione civile della satira dei costumi, soprattutto importante come strumento di critica del potere. Per Padre Mario SJ in questa classe andavano collocate anche le non proprio edificanti storie, con illustri esempi in Dante e Boccaccio, di critica ai preti, che quando prende tratti blasfemi di critica al dogma cristiano soltanto una cosa prova: che la ragione, fonte anche del riso e della derisione, può tendere, intuire Dio, ma soltanto la Fede, che scende dall’alto, può insediarne la visione nel cuore umano.

E nella dottrina di padre Mario SJ c’è, a me sembra, anche la vera spiegazione degli sfracelli islamisti in accadimento per due vignette umoristiche due di un quotidiano danese con protagonista Maometto. I teologi e gli intellettuali maomettani berciano alla blasfemia a occultare la realtà di violenza che questa religione sta rimestando. I fatti sintetizzati dall’umorista non se li è inventati lui, mentre, a dirla con padre Mario SJ, la critica satirica dell’umorista va a sviluppare un dubbio che anche nei popoli arabi dev’essere diffuso: che tutto il complesso di norme e divieti alcoranici serva in primis a tutelare il privilegio dei detentori del potere politico, che si legittimano appunto nella teologia coranica.
Portare in piazza i credenti a gridare contro due vignette umoristiche è recitare una pantomima perfin turpe: non diversa nella sostanza dal pacifismo manovrato dai bolscevichi, che portava la gente in piazza contro i missili americani. Perfin più turpe, perché qui siamo davanti a un potere invasivo che, con i suoi isterismi, rivela di non poter tollerare proprio niente. Quest’eccitazione manovrata attraverso un uso demagogico dell’informazione, delle masse islamiche, è perfin peggiore dell’omicidio rituale di Teo Van Gogh, perché ne spiega la non episodicità. Ma purtroppo mostra anche dell’altro, attraverso i giudizi dei vari Socci o padre Enzo Bianchi, che dalle colonne de La Stampa trombona: “Esportare la libertà di stampa? Ma è come esportare la libertà con le bombe.”

Caro Demagogo, quando mai i giornali danesi hanno preteso di esportare la libertà di stampa nell’islamstan?

La verità ultima è che i vari Socci e padre Bianchi vogliono reintrodurre anche in Occidente quelle norme censorie della blasfemia che, prima della rivoluzione liberale illuminista costringevano i Voltaire a pubblicare anonimi i loro scritti, e rischiare trattamenti come quello patito dal poeta Ferrante Pallavicino, sequestrato a tradimento dalla polizia inquisitoriale e decapitato in Avignone: storia remota, XVI secolo, ma quanto remota?
Quanto non la nostra società incamminata a ritornare per quei modelli simbolici di rispetto umano, anche allora costruiti agitando bibbia e quant’altro?

Questo sostiene, se ne renda conto o non se ne renda conto, chi sostiene il diritto dei maomettani a decidere anche in Europa cosa si deve o non si deve caricaturare della loro identità culturale. Stando alla teologia di padre Mario Flecchia SJ, questa decisione per via teologica di cosa ridere e deridere appare una decisione perfin blasfema, se il riso è la più attendibile immagine della contiguità tra l’umano e il Divino: che lo ha voluto, creato homo ludens, attraverso la parola, il sesso, la tensione alla libertà, mentre l’homo faber viene tutto e provava per padre Mario SJ che il diavolo c’ è. Quello l’uomo del diavolo, l’uomo che non ride, l’uomo petrolifero, giornalifero, del prestigio sociale, che infatti odia sempre il riso.

Piero Flecchia

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