Succede che l’esecuzione della pena di morte diventa la massima espressione di disumanità. E ce ne vuole, ma gli americani amano fare le cose in grande, si sa, e in Alabama ci si sono messi d’impegno per non essere smentiti.
Dopo trent’anni nel braccio della morte per un omicidio, Doyle Lee Hamm si era svegliato con la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta, essendo prevista per lo stesso giorno la sua condanna a morte tramite iniezione letale, ma il suo passato di tossicodipendente e l’attuale condizione di malato terminale di cancro hanno complicato le cose: il “boia” non riesce a trovare la vena.
E pensare che il legale di Hamm aveva fatto presente che la situazione clinica del suo assistito avrebbe reso difficile la procedura, ma non è stato ascoltato. Deve crepare, costi quel costi, così è stato sentenziato, e allora insistono, altre due, tre, quattro, cinque volte, finché il team medico getta la spugna.
Esecuzione annullata? Non se ne parla: deve crepare, costi quel che costi, e allora viene cambiato lo staff e ci si riprova per la sesta, settima, ottava, nova, decima, undicesima, dodicesima volta. Niente da fare, la vena non si trova.
Hamm se ne torna in cella con le sue gambe e, forse la morte nel cuore.

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