La nostra InterSvista a Fulvio Fiori

D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. Giuseppe Verdi sosteneva che il segreto del successo è “lavoro, lavoro, lavoro!”. E chi opera professionalmente in ambito creativo conosce bene la battuta: “Nell’arte, il 5 per cento è ispirazione, il 95 per cento traspirazione”. Anche i Beatles erano famosi per continuare a provare e riprovare, sviluppare, aggiustare, modificare… giorno e notte, non fermavano mai il processo creativo. Secondo me, il talento innato è come il seme maschile, indispensabile per creare. Ma ha bisogno del grembo femminile – nove lunghi mesi di attività, più il travaglio e il parto! – per diventare creazione.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto? Oppure: quanti libri occorre leggere per poter scrivere professionalmente?
R. Durante la scrittura di un’opera, ho bisogno di leggere almeno sette/otto libri, non necessariamente connessi con il contenuto che sto sviluppando. Ma in qualche modo “empatici” con le emozioni che esprimo. Inoltre, sono certo che ogni mia opera è figlia dei libri che mi hanno cambiato la vita. Cioè di tutti quei (pochi!) libri che hanno saputo nutrire il mio cuore e la mia mente, in modo speciale, luminoso, sorprendente. Per scrivere professionalmente, occorre conservare lo spirito fresco e stupefatto del dilettante appassionato che elabora la sua prima opera. Sempre, anche dopo trent’anni di pubblicazioni. E sulla quantità dei libri da leggere per essere un professionista, la mia esperienza è: viva la qualità! La quantità, se non nutre il mio appetito di lettore/scrittore, non è affatto rilevante. E confesso che ho passato anche lunghi periodi della mia vita in cui non ho letto neanche una pagina: ero troppo impegnato a leggere la natura, le persone, me stesso… attività che oggi riesco a integrare quotidianamente con la lettura dei libri.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perché?
R. Sono un lettore onnivoro e ho sempre letto il genere che mi appassionava al momento: da adolescente la fantascienza, ventenne la poesia, poi la narrativa, il teatro, gli aforismi, la saggistica… e da piccolo, Dante e Leopardi che mio padre mi leggeva come fiabe della buona notte! Ogni genere letterario ha accompagnato e nutrito una fase della mia vita di persona. In alcuni casi, è stato anche uno “stimolatore professionale”.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Forse sì, forse no.

D. Di chi è la maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. Mia. Tua. Sua. Nostra. Vostra. Loro… Per governarci meglio, il potere ci vuole ignoranti e creduloni, mentre i libri ci aiutano ad aprire la mente. Quindi a essere liberi, meno consumatori e pericolosi pensatori. Ovviamente è così in tutto il mondo. Allora forse in Italia, infine, ci piace restare ignoranti e creduloni.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. In generale, gli insuccessi sono fondamentali. Innanzitutto, come PERSONA, servono a renderti consapevole che dentro di te abitano due creature: l’EGO, che dipende totalmente dal mondo esterno e ha bisogno di sentirsi dire bravo altrimenti è infelice; ed esiste anche l’IO, che ha solo bisogno di esprimere i tuoi talenti e donarli al mondo ed è comunque felice. Quindi, grazie all’insuccesso, puoi scoprire se vivi “sintonizzato” sul tuo EGO, oppure sul tuo IO e puoi scegliere l’equilibrio ottimale di queste due “frequenze” nella tua vita, per essere produttivo e al tempo stesso sereno. Mentre come SCRITTORE, l’insuccesso serve a porti domande sul tuo cammino artistico, dubbi stimolanti, riflessioni che ti consentono di evolvere professionalmente. Anche se, infine, deciderai che la tua opera era perfetta così. Rispetto alla specificità della domanda: anche i critici sono pubblico e come il pubblico, possono sempre cambiare idea (Totò, Woody Allen in USA…)

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. È un rapporto di stima e rispetto reciproco, improntato alla crescita comune, avvolto nell’ironia, arricchito da robusto affetto. In altre parole: odio quanto lo amo!

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Nella mia esperienza – Premio Massimo Troisi 2003 per la scrittura comica – ha spalancato prima di tutto porte significative. Per altri premi, risponderanno adeguatamente i premiati.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica o ad una lobby culturale?
R. Non lo so, io non lo sono.

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Sì, nella vita è possibile tutto. Anche niente.

D. Può durare oltre la sua generazione la fama di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. Sì, nella vita è possibile tutto.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. Sì, dopo la terza o quarta volta che la metto, sì.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Francamente, no. Ma potrebbe accadere fra dieci secondi…

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Entrambe le cose insieme. E, come dice uno dei miei aFIORIsmi: frustrazione motore di gratificazione.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. No, ma fra dieci secondi potrei cambiare idea.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui vivi? Cosa detesti?
R. Amo tutto. Perché se ami, ami anche mentre detesti.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Nessuno. Anche i luoghi comuni servono: a creare luoghi propri.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Il tuo.

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