Gabriella Sica

CARA EUROPA CHE CI GUARDI
Riflessioni poetiche

Edizioni Cooper

Gabriella Sica e l’Europa dal 1915 al 2015

 

foto_gabriellasicaGabriella Sica è una delle poetesse più significative della sua generazione e rappresenta ancora oggi un riferimento culturale e critico, oltre che poetico, molto importante.

Originaria della Tuscia, come lei ama sempre ricordare, romana d’adozione, è sin dai primi anni Ottanta molto attiva. La ricordiamo fondatrice della rivista “Prato Pagano” (1980-1987) e “Braci” che accolse contributi essenziali di autori come Beppe Salvia e Dario Bellezza; traduttrice di Emily Dickinson ed altri poeti; videomaker anche per la Rai con produzioni dedicate ai maggiori poeti del Novecento; animatrice culturale sempre impegnata, e naturalmente autrice di importanti raccolte di poesia, tra cui ricordo “Poesie bambine” (La Vita Felice, Milano, 1997); “Poesie familiari” (Fazi, Roma, 2001); “Le lacrime delle cose”(Milano, Moretti&Vitali, 2009) ricevendo sempre premi e riconoscimenti importanti.

Le poesie di Gabriella Sica, apprezzate fin dall’inizio da Elsa Morante, Attilio Bertolucci, Giovanni Raboni, sono state tradotte in francese, inglese, rumeno e, in particolare, in spagnolo (in alcune antologie di poesia italiana e con il volume “No sentirás el ruisenor que llora”, nella traduzione di Mercedes Arriaga). Nel settembre del 2014 Gabriella Sica ha ricevuto a Lerici il Premio Internazionale per l’opera poetica del LericiPea, con Agi Mishol (israeliana) e Amel Moussa (tunisina): tre donne di diverse sponde per la “Poesia, grande madre del Mediterraneo”.

A fine 2015 è uscito questo Cara Europa che ci guardi 1915-2015 (Cooper editore), presentato in anteprima al “Festival della Letteratura di viaggio” a Roma, e poi a “Book city” a Milano. E di questa nuova prova letteraria siamo grati a Gabriella Sica. Prima di tutto per il coraggio. Non è cosa semplice, nel panorama editoriale di oggi, rischiare una pubblicazione ibrida, anfibia come questa. Come si legge giustamente sulla quarta di copertina “non è un romanzo, non è un saggio, non è un diario di viaggio, ma è tutto questo e qualcosa in più”.

Il libro è una riflessione dolente e lucida sulla cultura dell’Europa e sul nostro futuro. Una riflessione che mantiene la rotta grazie alla poesia che resta la vera protagonista del testo. E su questo ritornerò. Intanto certamente siamo di fronte ad un libro multiforme che prende di petto, partendo da se stessa e muovendo quindi da una precisa assunzione di responsabilità del poeta che Gabriella Sica è, il tema di essere oggi cittadina che fa parte di una comunità più vasta che è il mondo, di cui fa parte ovviamente anche l’Europa. L’autrice non scotomizza la complessità del tema, ma la fa sua, la affronta sin nel profondo di se stessa. Ecco perché il racconto si snoda, affascinante nel suo andamento salidiscendente, tra le storie personali della famiglia d’origine, del nonno e lo zio durante la prima guerra mondiale, della madre ragazza sotto le bombe della seconda guerra mondiale, del padre in Africa e poi durante “Roma città libera”; affronta le peripezie della propria crescita culturale, degli incontri e dei mancati incontri, dei viaggi in America, in Africa, delle scelte di vita che in 35 capitoli mescolano, appunto, storia privata e Storia di un secolo. Il continuo rimando tra micro e macrocosmo è fondamentale, anche perché Gabriella Sica non indulge mai nell’autobiografismo compiaciuto e narcisistico, ma lo proietta continuamente in uno sfondo più ampio, nel tentativo di una comprensione del mondo più vasta.

Sica lo racconta così: “Una mappa mentale e sentimentale di un’Europa personale e insieme storica, guidata solo da qualcosa che potrei chiamare istinto, da un pensiero non strutturato e fluttuante. In questo spazio geografico e immaginario ho provato a scavare un breve percorso rabdomantico, più che altro per lampi, usando bussole e seguendo cartelli topografici del tutto personali o scelti dalla memoria senza un centro”.

Un’idea centrale però c’è: mi pare essere quella di scandagliare il passato affinché si possa ritrovare un filo per uscire dal labirinto dell’Europa nei nostri complicati anni. Quindi è bello e istruttivo per chiunque lasciarsi attrarre da ricordi, riflessioni, micro-romanzi, inserti in poesia, disegni e foto che compongono la mappa della terremotata Europa nel terremotato mondo globale, che rassomiglia per molti versi appunto alla vita della poetessa e, come in un specchio, a quella del lettore. Dico “del lettore” perché credo che il libro possa essere utile per tutti, non solo per chi fa parte della stessa generazione dell’autrice. Sica parla a tutti, e forse parla più al futuro che al passato. E questo è un grande impegno.

Ecco perché la poesia ha un ruolo importante nel libro. A parte l’ispirazione di fondo tratta dalla poesia di Vittorio Sereni “Cara Europa che ci guardi”; a parte la presenza di testi poetici della Sica e di tanti riferimenti ai poeti incontrati, amati e che hanno segnato la formazione dell’autrice, a parte tutto questo, il testo è un testo poetico mascherato da prosa narrativa. Gabriella Sica pensa poeticamente e la sua scrittura è una forma di poesia dilatata dove le parole stanno al posto giusto ed hanno il peso che devono avere. C’è un’architettura nel libro che fa pensare al progetto di una poesia, giocata sull’alternanza dosata dei passaggi e dei temi, che non si dilunga, ma che non evita il nodo pressante dell’essenza dei vari problemi che intende affrontare. Solo la poesia può mantenere questa potenza e questo equilibrio dello sguardo abbandonandosi, al tempo stesso, al fluire delle cose, del ricordo come del pensiero razionale.

La poesia non può certo cambiare il mondo, e l’autrice lo sa bene. Ma sa bene che senza la poesia il nostro mondo rischia di affondare. Attenzione, però, non siamo di fronte al solito lamento dei bei tempi andati, non siamo stritolati dalla retorica di una cultura presunta superiore. Qui siamo nel labirinto delle nostre radici, sulle tracce di un senso che certamente affonda nel passato della cultura classica greca, che guarda alla parte migliore della cultura europea, ma che ha consapevolezza dei propri limiti. La poesia, la letteratura sono qualcosa di “impegnato” proprio perché continuano ad essere un richiamo, una bussola sui temi fondamentali dell’esistenza e della storia. La poesia, la letteratura non danno soluzioni, ma pongono continuamente domande profonde. Non si accontentano dell’esistente, vanno oltre. E questo procedere per domande è il cuore della prosa poetica di Gabriella Sica. Il libro non è quindi “neutrale”: le domande non sono ingenue. E Gabriella Sica rischia; parla della crisi economica, del precariato culturale, dei giovani, del degrado ambientale, delle guerre vicine e lontane; prende posizione sul ruolo del libro e dell’editoria ai tempi della Rete, critica anche il mondo delle conventicole dei poeti illusi, quello delle università il mercato presunta soluzione di tutti i mali. Inoltre, in quanto donna, non dimentica certo di valorizzare il suo punto di vista speciale.

Il libro ricostruisce così un’idea dell’Europa come spazio fecondo che non può essere abbandonato al destino rovinoso che pure è possibile. Il libro ci dice che ci sono altre strade, che la nostra storia e il nostro futuro possono essere diversi, che vi sono risorse e potenzialità “politiche” che ci appartengono in quanto cittadini dell’Europa e del mondo. Gabriella Sica, in questo slancio etico (poetico) e politico non è mai banale, capace com’è di oscillare sapientemente tra il minimalismo conversazionale e l’universalismo delle questioni trattate. Per questo il libro si legge con partecipazione: perché possiamo fare nostre, in un continuo immaginario dialogo, le illuminanti personali riflessioni della poetessa Gabriella Sica.

I libri sono fatti anche dai lettori e lei lo sa bene. Ci si ritrova come a casa in questo libro e come tale, una volta letto, lo si rilegge così come non ci si stanca di vivere tra le pareti di una casa che ci rassomiglia.

Questa è la forza della poesia, questa è la potenza del linguaggio.

Stefano Vitale


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