Pietro De Marchi

LA CARTA DELLE ARANCE

Poesia

Edizioni Casagrande

LA CARTA DELLE ARANCE
di
Pietro De Marchi

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“Lo sapevano bene anche gli allievi/ dei Vecchi Maestri fiamminghi/ tutto dipende dal punto/dove si posa lo sguardo”. E’ l’incipit programmatico, scultoreo quanto lieve, della poesia che apre la raccolta. Il tono è immediatamente apertamente narrativo, persino descrittivo.

Come se sin dai primi versi occorresse chiarire che queste poesie sono, per così dire, antiliriche. Nessuna concessione al sentimentalismo, le frasi si susseguono con chiarezza, tutto è perfettamente il fila: il soggetto, i predicati, gli aggettivi, precisi quanto scarni. Con la seconda poesia “Una rettifica” si apre un’altra finestra: la memoria (la guerra, il padre soprattutto) entra a grandi folate, la memoria del passato certamente, ma di un passato che resta vivo, presente. Il passato non viene celebrato, ma evocato per dare un senso al presente e al futuro. Così, certo non c’è sentimentalismo, ma emozione che incrocia la conoscenza, uno sguardo accurato sulla realtà, che c’è fuori, che c’è dentro.
Perché “i minimi dettagli contavano” ed allora i “luoghi da rivisitare” sono una mappa dell’anima, ma soprattutto la testimonianza di un’esperienza diretta. Che chiama a gran voce un linguaggio diretto, quasi parlato, frutto di un pensiero senza mediazioni. Ma non basta: c’è un terzo elemento che emerge, è quello dell’ironia. Tre componimenti, sempre posti intelligentemente in apertura del libro, “Il dottor Zivago ed altre storie” ci dicono che in questa raccolta troveremo anche forme di umorismo, sommesso, ma importante per rendere tutto più leggero il cammino, per lenire il senso di distanza o talvolta l’incombenza del reale. E qui il linguaggio si adatta, si abbassa e si usano verbi come “ciacolavano”, o sostantivi come “stalker”.

I ricordi diretti dell’autore sono quindi al centro del discorso poetico. Una serie di altre poesie (Di un cavallo e di una carro”; “Scuola di nuoto”,” Inventario del Bagno “Rosanna”; “Scuola guida”, “Miracolo a Milano” ecc.) ci introducono nel mondo quotidiano del poeta. Episodi sospesi, misteriosamente semplici, note di un diario dell’esistenza che Pietro De Marchi raccoglie con occhio acuto cercando nei fatti nascoste epifanie. Ma ci colpisce anche altro: in “Su una lettera da Parigi” ci coglie la sorpresa della parola esatta e attesa, sicura ed emerge la capacità del poeta, come in un testo musicale, di scrivere una “bagatella” che ritorna nel finale sulla nota dominante: “Buffi, come eravamo/buffi ai nostri vent’anni:/quante parole, quanti ricami/quando bastava dirsi/je ‘t’aime, tu m’aimes, on s’aime/ io ti amo, tu m’ami?”.
E si evidenzia il substrato ritmico di un’organizzazione precisa tenuta sottotraccia pur nel linguaggio semplice. In “Scuola guida” ad esempio, non conta la rima in sé, ma il ritmo di lettura e di scrittura, così come accade in molti altri componimenti. Nella poesia “Più rapida del desiderio” De Marchi si misura invece con la velocità della realtà che è inutile cercare di sfuggire: “Tutto accade così in fretta…/una biglia di buio/che esplode/Non la vale/ la miriade d’astri della notte d’agosto, /né quell’unica stella filante/ che insieme abbiamo visto attraversare…/più rapida/del desiderio in cerca di parole.”. In “Graffiti” De Marchi elabora, invece, la sua specifica appartenenza alla cosiddetta “linea lombarda” (lui che è nato a Seregno, pubblica con una casa editrice svizzera e vive e lavora a Zurigo): lo segna allora lo sbalzo della sorpresa davanti alla realtà, ma senza i rapidi capovolgimenti di fronte e di tono di un Umberto Fiori, ma con la piana distesa calma di un Luciano Erba (al quale dedica poi la poesia “Per un amatore di gatti”): “..gente senza aggettivi/ ma tutti con dentro un capogiro/a pensare di ripartire/senza lasciare un segno/ che siamo stati qui?”.

C’è inquietudine nei suoi versi, temperata da uno sguardo attratto dai fotogrammi della vita che si dischiudono in nuovi ordini di senso non subito visibili. In questa prospettiva esistenziale De Marchi ha un collegamento con Orelli, Pusterla, Sereni proponendo una poesia controllata, accorta. De Marchi è attratto dal mistero di ciò che sembra ovvio, ma tale non è, da ciò che si nasconde nelle pause della vita, nell’inevitabile scorrere del tempo. Si veda “Momento di tregua” dove i protagonisti “mettono in salvo gli infissi, le imposte/il legno ancora buono, si dicono parole/che non colgo.” E mi colpisce “Il disincanto e la metrica” dove l’autore ha cura per la composizione poetica come in un residuo irresistibile di “gnosi poetica” venata di ironia: …che adesso mi ridico senza sosta/(“si vede che mi credono già morto”)/perfetto endecasillabo di sesta”.
Così come arriva inatteso un gioco di rima in “Il cielo di maggio in Lombardia”: “il cielo amico di tutti i nostri ieri/che torna nello sciame dei tuoi pensieri” come in una cripto citazione caproniana, ribadita in “il mondo” che “…è pieno di gente/ di cui nessuno sa niente”.

Probabilmente è questo mondo che interessa al poeta col suo cronachismo raffinato, sono queste vite dimenticate che egli vuole raccontare sottraendole all’oblio. Ma, come già detto, l’autore sa anche uscire da questo schema e lo fa nella sezione “Parole d’altri” con tre belle poesie in cui De Marchi si specchia in parole appunto provenienti da altri mondi, non poi così lontani. Molto bella anche “Una delle dieci” dove De Marchi ricorda Sanguineti, poeta assolutamente distante da lui, ma capace di una folgorante definizione della vita e della poesia: “..di un uomo se va bene si ricordano dieci frasi/ e questi, dice, sono i casi fortunati” …e aveva detto solo:/ io vengo come simbolo./ non ci voleva meno dell’esperienza di una vita/ (e di infine letture) per arrivare a dire/ in modo così elegante una verità tanto straziante”.

Chiude così il libro la poesia che dà il titolo alla raccolta e che chiude anche il cerchio consegnando tutto il percorso poetico al proprio inesorabile destino: quello di finire nel fumo di un “gioco di fuoco”, “coriandoli si carta strinata” che si disperdono in un “volo tremulo”.

Stefano Vitale

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