Mariangela Gualtieri

LE GIOVANI PAROLE


( Ediz. Einaudi )


LE GIOVANI PAROLE
Mariangela Gualtieri

Mariangela Gualtieri è nata a Cesena nel 1951. Nel 1983 ha fondato con Cesare Ronconi il Teatro Valdoca. Da profonda donna di teatro ha quindi una cura particolare per la forma e la precisione della parola, del ritmo, della voce poetica. Provate a leggere le sue poesie ad alta voce, così come andrebbe sempre fatto, e scoprirete il senso del respiro, della sonorità, della pausa necessaria.

Cosa ancora più importante se la poesia è, per Gualtieri, esplorazione del “flusso emotivo”, voce che “affiora dalla coscienza”. La bellezza dei versi di Mariangela Gualtieri sta proprio in questo equilibrio tra narrazione e epica-lirica del verso. Narrazione perché la sua poesia racconta un paesaggio, una situazione, una sensazione altrimenti sfuggente, invisibile talvolta. Che si aggancia al desiderio di “stare nel mondo” con tutte le proprie forze.

Ci sono poeti che fanno del dolore e dell’insoddisfazione del loro essere al mondo la base della propria poetica. Mariangela Gualtieri non accetta questa dimensione comoda e semplificatoria. Lei si butta a capofitto nelle cose e nelle emozioni che la relazione diretta con il mondo offre. Poi, come dicevo, c’è una dimensione epico-lirica. La definisco così perché per accettare il mondo con tutta la sua gamma di esperienze ci vuole una forza epica. Il poeta è una sorta di eroe del quotidiano che sta sulla scena del mondo e recita la sua parte con sincerità e senso del dovere. E lo fa con spirito leggero, lirico, appunto, cogliendo la gioia laddove meno l’aspettiamo. <

I titoli delle sue raccolte precedenti sono emblematici: “Senza polvere, senza peso”, “Bestia di gioia”, “Fuoco centrale” (tutti editi da Einaudi). Una generosa passione la sostiene e l’ascolto delle proprie risonanze interiori diventa forma di comunicazione stupita dell’essere al mondo. I temi sono dunque quelli fondanti dell’amore, del dolore, della gioia che s’intrecciano con il paesaggio della natura, con gli affetti familiari. La cosa importante della sua poesia è che non c’è mai retorica, ma puro slancio lirico che porta la poesia ad identificarsi mimeticamente con il suo oggetto. Non c’è distanza tra chi scrive e ciò che viene scritto: così chi legge è trascinato dentro ad un mondo vivo e vero, ricco d’insospettabile verità.

Il titolo della raccolta, “Le giovani parole”, è tratto da “I begli occhi del ladro” del poeta Beppe Salvia, e molti sono i riferimenti: Borges, Sant’Agostino, Amelia Rosselli, Ezra Pound, ecc., da Bruno Schulz prende poi i titoli di tutte le poesie di Tua Prodigiosa Visione.

Abbiamo detto del legame col teatro: la sua poesia, e questa raccolta lo conferma, è una messa in scena del mondo, sostenuta dalla volontà di esplorare il mistero della parola-pane e centrale è il suono: Dentro la lingua / un fagotto di sillabe / si srotola in canto. / È tempo di cadere / dentro covoni di parole / e farne pane per tutti: è una delle poesie della sezione Le giovani parole.

La poesia di Gualtieri cerca l’essenziale, la semplicità che spiazza e rende la parola terribilmente familiare perché precisa e netta. Lo “stare al mondo” come ars poetica: Una raggiante aurora / si spande – sale dalle viti / cariche e semina il suo rosa. / Dalla gabbietta guardo il panorama. E vediamo e sentiamo l’occhio presente che è dentro al panorama umano. C’è, nelle poesie di Gualtieri, una gioia infinita, antigravitazionale, che si sente e si persegue con il corpo: e si sta leggeri come capre sulla rupe / della gioia (nella sezione Gemma dell’anno prossimo). Gemma dell’anno prossimo è la prima sezione della raccolta: apre la raccolta con una semplice, complessa, considerazione: La miglior cosa da fare stamattina / per sollevare il mondo e la mia specie / è di stare sul gradino al sole / con la gatta in braccio a far le fusa. Stare. Fermi. Semplificare tutto.

Ma non per annegare nel banale, bensì per recuperare il senso dell’umano , dell’umanesimo mi vien da dire: si può, sai, stando qui / stando molto fermi / sostenere una stella. E ancora: Dietro le palpebre / c’è vastità / di altissime cime. La poesia assume un senso panico perché collega macrocosmo e microcosmo, corpo e mente. Sul piano dell’effetto formale, le sue poesia assomigliano ad attori che attraversano la scena come nelle antiche rappresentazioni greche: entrano, si fermano, escono dalla scena. La sua scrittura è danza, tensione e movimento.

Nella prima sezione (Gemma dell’anno prossimo) domina il senso della natura: i fiori, l’orizzonte delle colline, il vento, il bosco, il mare, il seme (che è “uno scrigno di perfezione”) ma anche la presenza dell’uomo fa parte di questo mondo: la vigna, il frutteto, il pane, le torri della città edificata. E persino “la primavera da lontano/sogna d’essere qui”. Perciò è normale dire “è maggio e io scrivo delle rose”, in uno sconcertante incipit che ci immerge nel mistero dell’istante.

Gli affetti familiari sono un altro riferimento: la madre, i figli, i compagni sono fonte d’ispirazione, personaggi che accompagnano il poeta nel viaggio delle emozioni e dei sentimenti. Ma nella sezione “Le giovani parole” Gualtieri fa un sintesi dei suoi temi collegando il tutto il uno sforzo poetico che non nega la fatica del vivere “questo giorno è un giorno di spine/di cose ghiacciate dentro cose nuove”; “si dà il caso che un un’ombra/ sia emersa pasteggiando col mio cuore”; “Un troppo grave disordine/riempie questa camera/ dentro”. Ma c’è una via d’uscita: “Mi muovo con te /legge che voltoli la terra…. La tua norma mi piace. In te divento/quello che sono – nessuno- splendidamente/ niente-senza peso – Adoro te.”

Il volume si chiude con due sezioni molto belle: una “Bello mondo” è in realtà un testo che prende spunto da Poesia dei Doni di Borges in un montaggio di citazioni da Pessoa, Amelia Rosselli, Nelly Sachs ed altri recitato ogni sera dalla torre in cima la paese in occasione del XLI Festival di Sant’Arcangelo. Si tratta di un’ode alla bellezza che ci apre al mondo. Ma chiude la raccolta Esercizi al microscopio dove la poesia si fa descrizione dell’invisibile che apre metaforicamente ad altri mondi in un gioco di rimandi misteriosi: “Io non vi credo cose che vedo/perché chiudendo gli occhi/una vitalità di costellazioni/d’altro mondo/ vi sopravanza/ e la supremazia del visibile/s’incrina in felicità”.

Stefano Vitale

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