LA ROSA: spirito, simbologie e culti legati ad un fiore
di  Chicca Morone

Credo sia opportuno in primo luogo definire i concetti di “simbolo” “segno” e “allegoria”.

Il nome simbolo deriva dal greco “sun-ballo” che significa mettere insieme, definendo le due metà di un unico oggetto, fatto della stessa sostanza a cui noi diamo un nome e che per noi significa qualcosa; ogni metà diventa quindi un segno di riconoscimento: quando vediamo una bilancia pensiamo che i due piatti stiano in equilibrio e per astrazione riconosciamo che il concetto che sta dietro è Equilibrio/Giustizia.
Il nostro corpo è il simbolo di ciò che ci trascende: come nell’arcobaleno sono espressi tutti i colori così nel nostro corpo (microcosmo) abbiamo la proiezione del macrocosmo con ogni informazione che ne deriva. Abbiamo dentro di noi ogni tipo di conoscenza, solo che non sappiamo come arrivarci, perché usiamo sì e no un 10% del cervello.
Diverso è il “segno”: un triangolo bianco con la punta rivolta verso il basso bordato di rosso sul lato di un incrocio ci impone lo stop e di dare la precedenza, è semplicemente una convenzione.
Mentre nel simbolo il significato è già contenuto in ciò che percepiamo, l’allegoria appartiene alla sfera del dire e abbisogna pertanto di un riconoscimento linguistico: nella ruota della fortuna dei Tarocchi serpente, gallo e maiale sono le tre forze motrici del vivere terreno; come il leone, la lupa e la lonza danteschi corrispondono alla superbia e alla violenza, alla avarizia e alla cupidigia, all’avidità o lussuria.
Così quando noi vediamo una rosa (espressione della Natura) questa ci parla di femminile, di purezza, di eleganza, di profumo…

Due parole sulle rose di Gianna Tuninetti, di cui presentiamo la mostra dal titolo “L’anima della rosa” e sul loro significato per me

Gianna dipinge dal vivo: carta, acquerelli, colori, sfumature e grandezza ci portano direttamente in presenza delle rose e ci aprono la porta di un mondo magico dove i fiori diventano simboli di vita.
Lei stessa ci ha raccontato di un ragazzo che davanti ad un suo quadro ha confessato di vedere la rosa “respirare”.

E ora un piccolo aneddoto

Quando ho visto per la prima volta dal vivo i quadri di Gianna Tuninetti ho pensato che per me sarebbe stato importante tenere nella mia camera da letto quel ramo di rose antiche: le ho viste ed è stato amore a prima vista perché mi parlavano direttamente. Una sensazione irrazionale che non aveva senso, la mia follia di quel momento.
Solo in seguito ho capito quel che era successo: avevo semplicemente obbedito a un richiamo mancato in precedenza, quando Gustavo Rol mi aveva chiesto se avrei preferito un bottone della giacca di un ufficiale morto a Marengo o un quadro dipinto da lui e io avevo optato per il primo.
Rol amava le rose tanto da dipingere sul retro di un quadro dal titolo “Lo spirito delle rose” questo concetto per storicizzare il suo pensiero: “Ogni cosa ha il proprio spirito che agisce in funzione del Creato. Per chi ne è degno e sa riconoscerlo, lo spirito delle cose ci viene incontro nei momenti del dolore. Più di quanto possano fare gli umani. Di qui la miracolosa magia che ogni cosa porta in se stessa” (G.R. 29/5/1966).
Aggiungerei che i simboli ci circondano e non cambiano: la nostra attenzione, però, non è sempre rivolta a ricevere i messaggi che la nostra interiorità ci invia in presenza di questi. Se impariamo a vivificarli dentro di noi, riusciamo ad avvicinarci sempre di più alla matrice con innegabili vantaggi per il nostro procedere nel cammino.

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QUALE È LO SPIRITO DELLA ROSA?

La rosa rappresenta, in primo luogo e ovunque, l’archetipo della Madre Cosmica, significato che in Oriente è indicato dal loto sul quale poggiano bodhisattva, budda e immagini sacre: ricordiamo la danza di Shiva.
In questo senso l’iconografia ecclesiastica ha fatto della rosa, regina dei fiori (già definita così già dalla poetessa greca Saffo), il simbolo della Regina Celeste, Maria, della sua verginità, del suo essere per noi tramite privilegiato di salvazione.
La rosa è attributo di santi: si dice che i santi e gli yogi abbiano la capacità di far fiorire le rose.

SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA

Figlia di re d’Ungheria all’età di quattro anni vivrà tra la città di Marburgo e Wartburg il castello presso Eisenach alla corte del futuro sposo Ludovico per essere allevata secondo le usanze di quella corte. Sposatasi a 14 sarà madre di tre figli, ma avrà vita difficile a corte dove la sua modestia e il suo bisogno di aiutare i poveri erano malvisti. Si dice che tornando da una battuta di caccia il marito la incontrò mentre distribuiva il pane, ma quando, impaurita, aveva lasciato cadere il contenuto del suo grembiule il pane si era tramutato in rose.

SANTA ELISABETTA DEL PORTOGALLO

Nata a Saragozza (Spagna) nel 1271 da Pietro III d’Aragona, e da Costanza, figlia di Manfredi, successo al padre, l’imperatore Federico II, nel regno di Sicilia. La sua infanzia fu di corta durata perché, a dodici anni fu data in sposa a Dionisio il Liberale, re di Portogallo, fondatore dell’università di Coimbra. Per tutta la vita cercò di mantenere la pace fra i suoi familiari, imparentati con Aragona, Portogallo e Spagna. Vedova, donò i suoi averi ai poveri e divenne terziaria francescana.

SANTA ROSALIA

Nell’anno 1128 la casa di Sinibaldo delle Rose, conte alla corte normanna all’epoca di Guglielmo I di Sicilia, fu allietata dal sorriso di una bimba, cui fu posto un nome insolito, ma profondamente significativo: ROSALIA, quasi un connubio di rose e di gigli (rosa-lilia). Attribuirono alla sua opera la fine della pestilenza a Palermo.

SANTA ROSA DA VITERBO
Respinta dalle clarisse a causa della sua salute precaria, fu guarita miracolosamente ed entrò nel terz’ordine francescano. Predicò accanitamente contro i catari, aizzati da Federico II contro il Papa, e prese una forte posizione in difesa del pontefice nella lotta fra Guelfi e ghibellini. Predisse la morte dell’imperatore e quando questa avvenne, tornò a Viterbo.

SANTA RITA
Dopo una lunga vita all’insegna dei sacrifici per i poveri morì nella sua cella con la gioia di aver potuto assistere al miracolo della fioritura di una rosa bianca – dono di Dio – nel mese di marzo, poco prima della sua morte.

SANTA TERESA DI LISIEUX
Nata ad Alençon (1873-1897). All’età di 15 anni, dopo numerosi tentativi e suppliche, ottenne il permesso di entrare nel monastero delle Carmelitane di Lisieux. Praticò in modo particolare l’umiltà, la semplicità evangelica e la fiducia in Dio. Scrisse “Storia di un’anima” e diverse altre opere letterarie.
Miracolo della pioggia di rose dal cielo, testimonia la sua presenza.
Giovanni Paolo II l’ha dichiarata Dottore della Chiesa nel 1997.

LA ROSA NEI CULTI

La rosa come simbolo di iniziazione e rigenerazione spirituale è stata usata da moltissime correnti spirituali.
L’innegabile somiglianza con i Mandala della tradizione simbolica tibetana può far pensare che queste grafiche archetipiche facciano parte dell’inconscio collettivo dell’Umanità (Jung).
Dalla corolla di rosa nasce Peyoda Siri, una delle moglie del dio Vishnu.

Anche durante alcuni riti massonici è usata simbolicamente sulla tomba del “fratello” che ha lasciato il corpo: vengono gettate tre rose le “rose di S. Giovanni”, simbolo di Luce Amore Vita.
Martin Lutero volle nel proprio sigillo una rosa bianca a dieci petali su una croce appoggiata su un cuore per indicare che la fede procura gioia, consolazione. Il motto era “Il cuore dei cristiani riposa sulle rose, quando è sotto la croce”.
Nel mondo greco e romano, la rosa era associata alla dea Afrodite, ma anche ad Athena.

Afrodite nasce dalla spuma dell’oceano dove erano stati gettati i genitali di Urano, evirato da Saturno e insieme a lei giunge a riva un cespuglio coperto di spine nel quale gli Dei fanno spuntare gocce di ambrosia (amrita) che diventano candidi boccioli di rose bianche.

Il mito ci parla anche di Afrodite che accorrendo in aiuto dell’amato Adone – ucciso da un cinghiale inviato da Ares ingelosito – si ferisce con dei rovi e il suo sangue fa sbocciare delle rose rosse.
Si narra che la dea versò tante lacrime quante furono le gocce di sangue versate da Adone morente: da ogni lacrima nacque una rosa, da ogni goccia di sangue un anemone. Zeus commosso dal dolore della dea, permise ad Adone di vivere quattro mesi nell’Ade, quattro nel mondo dei vivi, e altri quattro dove avrebbe preferito: per questo la rosa viene considerata simbolo dell’amore che vince la morte e anche di rinascita.
Secondo un’altra leggenda, Cloris, la dea dei fiori, un giorno stava passeggiando quando trovò il corpo di una bellissima ninfa uccisa dalle punture delle api. Lo portò sul monte Olimpo e chiese agli altri dei di aiutarla a trasformarlo in fiore. Afrodite donò la bellezza, Dioniso il nettare e la fragranza, le Tre Grazie regalarono gioia, fascino e vivacità. Dal suo carro del cielo, Apollo mandò una sfumatura calda. Così nacque la rosa, donata a Eros che a sua volta la regalò ad Arpocrate, dio del silenzio, nella speranza che non venissero alla luce le avventure amorose della madre.

Stranamente ancora oggi una rosa a cinque petali nel nimbo, sopra il confessionale (sub rosa), è il segno della discrezione.

Ma l’immagine della rosa resta legata ad Afrodite anche nella mitologia omerica quando Ettore, ucciso da Achille, viene unto con l’olio di rose da Afrodite per la preparazione del corpo alla sepoltura.
La rosa è inoltre presente nel culto di Dioniso, per la credenza che impedisse agli ebbri di rivelare i propri segreti.
I Romani festeggiavano i Rosalia, giochi floreali presso i luoghi di sepoltura in cui si offrivano ai Mani dei defunti le rose come allegoria dell’immortalità, passaggio ad un’altra vita: rituali cioè legati al culto dei morti, in un periodo compreso tra l’11 maggio e il 15 luglio.
Questa festa delle rose si trasmise nel mondo cristiano, dove la Pentecoste è anche detta “Pasqua delle rose” e veniva celebrata scambiandosi il fiore, a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli.
Leone IX (1084) istituì il rituale con il quale la quarta domenica di Quaresima benediceva con una rosa d’oro, simbolo di potenza e di istruzione spirituale, ma anche di risurrezione e di immortalità.

Rimanendo nel mondo latino troviamo il protagonista dell’Asino d’oro di Apuleio che recupera le fattezze umane mangiando delle rose (appartenenti ad una corona dedicata ad Iside, dea rivificatrice); Lucio, protagonista del racconto, è uomo curioso e si affida al sapere di una cameriera per assistere alla metamorfosi della di lei padrona.
Come a volte capita… la donna sbaglia il filtro e invece di diventare un rapace notturno, Lucio si vede tramutato in asino. Molte sono le sue peripezie, ma quando sta per essere ucciso, riesce a fuggire dall’arena e, in una notte di luna piena, invocando Artemide ha la visione: si salverà se riuscirà a mangiare una rosa.
L’indomani assiste alla processione dedicata a Iside e riuscirà a divorare una ghirlanda di rose che il sacerdote tiene avvolta al sistro.
Lucio ritorna uomo e diventa adepto della dea.
Più significativo di così è davvero difficile: solo quando farà propria la sua ritrovata anima (perduta per il desiderio di sperimentare in modo poco sacro l’occulto) potrà accedere all’oltre, finalmente riunito in se stesso.

La rosa quindi si connette fortemente al concetto di visione, come fonte di sapienza innata o di visione animica, quindi di potere conoscitivo e trasmutativo, che nella concezione indo-iranica viene identificata come daena, principio creativo immanente, visione.
Infatti nel Bundahisn (vasta enciclopedia delle credenze cosmologiche, mitologiche, geografiche, storiche del Medioevo persiano) troviamo decantata la rosa come uno dei fiori più profumati: è intesa quale manifestazione della den, l’Anima individuale e collettiva la cui apparizione nell’aldilà viene costruita in vita attraverso il retto pensare, il retto parlare e il retto agire, ed è quindi lo strumento supremo nella percezione delle realtà ultime.
Per mezzo suo l’uomo può conoscere, per mezzo suo si compiono la scelta iniziale e le azioni che salveranno o perderanno chi le compie: a buoni pensieri, buone parole, buone azioni, corrisponde una buona daena.
Perciò al giusto essa verrà incontro, dopo l’abbandono del corpo, nelle sembianze di una fanciulla, per aiutarlo ad attraversare il ponte situato sia sul cammino dei morti sia su quello degli iniziati alla disciplina della visione e che solo i giusti – morti o vivi – riescono ad attraversare.

Il simbolismo della rosa è di fondamentale importanza nella cultura Sufi. Dello Shayk Abdul Qadir Jilani (trasl. Gilani), vissuto nel XII sec. e fondatore dell’ordine Qadiri (Qadiriyya) si dice fosse chiamato “la Rosa di Baghdad” e, a tal proposito, sottolineando tutta la portata di significato del simbolismo della rosa nel contesto di quella cultura, viene riportato un episodio, insegnamento ancora oggi attualissimo.
Si racconta che in Baghdad i Maestri e gli Insegnanti fossero così numerosi che quando si seppe che Gilani stava per giungere in città si decise di inviargli un messaggio. Si riempì di acqua fino all’orlo un vascello e glielo si mandò incontro, intendendo indicare come la coppa fosse ormai colma e ogni tentativo di porvi altro all’interno fosse inutile. Benché si fosse in inverno e completamente fuori stagione per le rose, Gilani ne evocò un mazzo profumato e lo pose al di sopra dell’acqua che gli era stata inviata, come segno del suo potere, del suo stato di realizzazione e del posto che gli spettava. Quando all’assemblea giunse notizie di questo esclamarono “Abdul Qadir è la nostra Rosa”.
Altro ruolo importante nel misticismo pratico dei Sufi nel XII secolo assume la rosa ricamata sul copricapo dell’ordine Kadirya, tutt’ora esistente: il sentiero sul quale si incamminano gli adepti è denominato Sebil-el-Uar, che vuol dire “La Via della Rosa”

 LA ROSA SIMBOLO D’AMORE

La Rosa, presa singolarmente, è quindi simbolo di completezza, di raggiungimento totale del fine, perfezione: si associano tutte le idee collegate a simili qualità, dal centro mistico, il giardino dell’Eros, il Paradiso di Dante, all’emblema di Venere, all’amato.
Una delle vie per raggiungere la perfezione sia quella dell’Amore. L’amore, infatti, è unione, annullamento del dualismo, della separazione, quindi modo di pervenire al centro. Simbolo del trasferimento nel “centro segreto” (segreto nel senso che non esiste nello spazio, ma è tuttavia perfettamente definibile), è ancora la rosa.
Lo stesso atto fisico dell’amore esprime il desiderio di “morire” nell’oggetto del desiderio medesimo, dissolversi in ciò che è già dissolto: morire, dunque, per rinascere nella non-separazione.

Intanto, già nel 1200 il ‘Roman de la Rose’ di Guillame de Lorris, le attribuisce il significato di veicolo e fine della trascendenza mercé il potere santificante dell’amore: la Rosa incarna il fine di un tortuoso percorso iniziatico, simbolo del Fin’Amor, dell’Anima, della Conoscenza, dell’Amata, di Eros.

Questo è il Roman de la Rose,
Dove è inclusa tutta l’arte d’amore.
L’argomento è buono e nuovo:
Lo tenga Dio in pregio
Come colei per cui l’ho intrapreso,
La quale è tanto degna di essere amata,
Che dev’esser Rosa chiamata.
Le Roman de la Rose, XIII secolo, vv. 37-44.

L’identico senso si trova un secolo dopo in Dante (seguace della setta dei “Fedeli d’Amore” di derivazione templare): la rosa è simbolo della transizione o del passaggio necessari al raggiungimento della perfezione finale. Nella Divina Commedia si giunge al paradiso attraverso La Rosa Mistica.

Simbolo chiave delle scuole ermetiche ed esoteriche occidentali ed orientali la rosa la si ritrova anche nella maggior parte delle tradizioni, soprattutto nella leggenda del sacro Graal dove l’ordine cavalleresco assoldato da Re Artù al fine del ritrovamento del Graal, la coppa che raccolse il sangue di Cristo, prende il nome di Ordine de La Rose Noire.

Sul piano della psicologia e del profondo, il Graal, calice della Salvezza e della santificazione, è un elemento femminile, simbolo della ricettività e della prodigalità, una sorta di utero spirituale per tutti coloro che si affidano alla dottrina segreta, ancora la rivificazione attraverso un processo alchemico di unione del femminile e con il maschile, in questo caso l’eroe che beve dalla sacra coppa.

La rosa personificazione della primavera incarna la ritrovata gioia di vivere, la disponibilità al piacere e l’inizio di una incipiente fertile stagione e può essere un simbolo tridimensionale

Alchemico, perché nella mano della Madonna simboleggia la conoscenza dei misteri della Grande Opera.
La rosa rossa, o dorata, appartiene alla Madonna nera ed è simbolo della rubedo, quando il cuore si trasforma nell’oro più puro, di cui il Cristo è la tintura.
La rosa bianca, insieme al giglio, veniva collegata all’opera al bianco, scopo della piccola opera, mentre la rosa rossa simboleggiava come detto l’opera al rosso punto finale della grande opera.
La rosa rappresenta il mitico Athanor, il leggendario ed emblematico crogiuolo alchemico degli antichi sapienti, sacro simbolo del segreto più sublime, alchemica manifestazione dei misteri della vita, poiché la Rosa, affine alla Scienza Sacra, può rappresentare per coloro che sanno interpretarla, la chiara rivelazione della “Vera Conoscenza”.

Geometrico perché il numero dei suoi petali, 5, 8, 12, o 15, è messo in relazione con le corrispondenze sacre di Pitagora, con gli sviluppi dell’architettura (Notre Dame – rosoni) e con la matematica occulta (quadratura del cerchio). Il cinque è il numero della rosa e anche dell’Uomo con la U maiuscola, ossia dell’Uomo – coscienza del mondo.
E anche in architettura, dove la geometria è applicata, la rosa ha il suo peso!
Nel rosone, elemento architettonico in pietra traforata o in vetro colorato delle chiese cristiane medioevali, sono presenti tutti questi significati: nella sua rappresentazione di ricerca interiore, di viaggio iniziatico, è posizionato nelle Cattedrali medioevali sulla facciata sopra l’ingresso, come punto di raccordo fra il sacro e il profano, ad indicare il punto di partenza della coscienza umana che, entrando nella casa di Dio, volge le spalle al mondo materiale guardando al punto di arrivo, l’altare, dove avverrà il ricongiungimento col Divino.

Iniziatico perché simboleggia la conoscenza integrale, l’illuminazione tramite l’apertura dei centri vitali. Infatti nel corpo umano esiste il riflesso del numero cinque proprio nel numero e nella posizione dei diaframmi:
PELVICO a cui diamo il colore ROSSO che divide le radici, le gambe dal tronco
PLESSO SOLARE a cui diamo il colore GIALLO che divide la maggior parte degli organi interni dal cuore e dai polmoni
TORACICO SUPERIORE a cui diamo il colore BLU che divide il tronco dalla testa.
MEMBRANOSO – SELLA TURCICA a cui diamo il colore INDACO che divide tiroide e ipofisi
MEMBRANOSO – FONTANELLA a cui diamo il colore VIOLA che divide mondo interiore e infinito

CERCHIAMO LA ROSA UN PO’ OVUNQUE

Forse non sapete che Cleopatra portava sempre al collo un cuscinetto ripieno di profumatissimi petali di rose e cospargeva di petali di rose mobili e letti.
E come non vedere nella rosa rossa tenuta fra i denti di Rodolfo Valentino nel tango dei ‘Quattro cavalieri dell’apocalisse’ o in ‘Notte nuziale’ o in ‘Sangue e arena’ il simbolo della passione travolgente?
Wanda Osiris scende le scale cantando “Sentimental – questa notte infinita – questa sera autunnal – questa rosa appassita…” lanciando su pubblico rose rosse (senza spine) profumate di Chanel N°5.
Fabrizio De Andrè ha scritto nella canzone di Marinella “Vivesti solo un giorno come le rose”.
Nel medioevo in Francia le prostitute, sacerdotesse dell’amore profano, erano obbligate a portare una rosa al seno, tanto che erano semplicemente chiamate “roses”.
All’inizio del 1800, l’Imperatrice Giuseppina diede vita alla prima e più vasta collezione moderna di rose nei suoi giardini di Malmaison: ne coltivava oltre duecento varietà.

È tradizione di lanciare agli sposi petali di rosa e riso all’uscita della chiesa
È “d’obbligo” regalare una rosa rossa all’amato nel giorno di San Valentino

E IN LETTERATURA LA ROSA SFOLGORA IN:

– Saffo quando la definisce “regina dei fiori, regina, grazia delle piante, orgoglio dei pergolati, rosso dei prati, occhio dei fiori, la sua dolcezza schiude l’alito d’amore, fiore favorito di Citera”.
– Anacreonte le risponde: “La rosa è l’onore e la bellezza dei fiori, è la cura e l’amore della primavera, è il piacere delle potenze celesti. Il figlio della bella Venere, prediletto della Citera, avvolgeva il suo capo di ghirlande di rose, quando andava a danzare nel giardino delle Grazie”.
– Nella Bella e la Bestia in cui Bella chiede “solo una rosa” al padre che parte per un viaggio; al suo ritorno riceve il fiore, una rosa magica che non appassisce mai, cresciuta nel giardino della Bestia e che la farà innamorare del suo principe imprigionato nel corpo deforme.
– Troviamo le rose anche nel Piccolo Principe di Saint-Exupéry: “Coltivano cinquemila rose in un unico, modesto giardino, e non trovano ciò che cercano. E pensare che quel che cercano lo possono trovare in un’unica rosa. Ma gli occhi sono ciechi, con il cuore bisogna cercare”.
– Anche ne “La rosa mistica del giardino del Re” subentra l’allegoria del percorso iniziatico nella discesa fino al cuore attraverso le immagini dei tarocchi: infatti si conclude con la domanda del giovane re al derviscio “O saggio, dove si trova la terra straniera dove sorge il tempio della conoscenza?”. La risposta è “Vuoi sapere dove si trova la terra straniera in cui dimorano i discepoli della via, i cercatori della verità? Volgiti al tuo cuore, in esso è celato il magnifico tempio della conoscenza umana, ma la chiave che ne apre la porta solo Dio può darla”

MI PIACE CITARE…

Una hurì sotto una pergola del Giardino del Cielo disse fremente: “Nessuno mi ha mai parlato di quel che c’è sotto le stelle! Non comprendo che cosa sia l’alba, che cosa il tramonto, che siano il giorno e la notte. E quel che dicono Nascita e quel che chiamano Morte, mi danno stupore strano alla mente!”
Così si fece onda d’aromi e alitò da un cespo di rose, scese dal cielo su questa terra fatta d’oggi e di ieri. Aprì gli occhi e si fece bocciolo; e sorrise un istante, e fu rosa e, foglia a foglia, lenta si sfece sopra la terra. E quando rivolò nel cielo, libera il piede dai ceppi, ne rimase, ricordo, un sospiro. E l’hanno chiamato profumo di rosa”

– “Non c’è rosa senza spine.” (Proverbio popolare)
– “Non v’è rosa senza spine. Ma vi sono parecchie spine senza rose.” (Arthur Schopenhauer)
– “Le loro labbra erano quattro rose su uno stelo e nell’estate della loro bellezza si baciarono.” (Shakespeare)
– “Cosa c’è in un nome? Quel che chiamiamo rosa anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe sempre lo stesso dolce profumo.” (Shakespeare)
– “L’Amore è come una rosa bellissima… Non si può pensare di coglierla senza pungersi.” (Anonimo)
– “Si può mai ricordare l’amore? È come evocare un profumo di rose in una cantina. Puoi richiamare l’immagine di una rosa, non il suo profumo.” (Arthur Miller)
– “Se il tuo pensiero è una rosa, tu sarai un giardino di rose; e se è una spina, tu sei una fascina per il fuoco dell’hammam.” (Rumi, Mathnawi, Libro II)
– Prima che il tempo iniziasse io bruciai e divenni cenere. Mi tuffai nel fuoco e divenni una rosa, Con nostalgia chiamai il Suo Nome e divenni un cuore. (Shaykh Muzaffer Ozak al-Jerrahi)
– “Se hai due monete con una compra il pane, con l’altra compra rose per il tuo spirito”.
– “Io non so se le brave persone tendono a coltivare rose, o se coltivare le rose rende brave persone” (Roland A. Brawne)
– “Chi vuole avere rose belle nel giardino, deve avere rose belle nel cuore” (Dean Hole)
– “Uno dei significati principali è quello che si riferisce al principio femminile o passivo della manifestazione, cioè a Prakriti, la sostanza universale; e, a tale riguardo, il fiore equivale a un certo numero di altri simboli, fra i quali uno dei più importanti è la coppa. Come quest’ultima, infatti, il fiore evoca con la sua stessa forma l’idea di un “ricettacolo”, ciò che di fatto è Prakriti in rapporto alle influenze emanate da Purusha, e anche nel linguaggio corrente si parla del “calice” di un fiore.” (René Guenon)

SIGNIFICATI POPOLARI DELLA ROSA

ROSA BIANCA – la purezza, amore puro e spirituale, “Son degno di te”;
ROSA CORALLO – desiderio;
ROSA ROSA PALLIDO – gioia;
ROSA ROSA – amicizia, affetto, ma anche amore nascente;
ROSA ROSA SCURO – gratitudine;
ROSA PESCA – amore segreto;
ROSA ARANCIO – fascino;
ROSA GIALLA – gelosia, infedeltà, declino dell’amore;
ROSA GIALLA ORLATA DI ROSSO – tenero ed eterno;
ROSA MUSCHIATA – bellezza capricciosa;
ROSA GIALLA PALLIDA – titubanza in amore e richiede conferma;
ROSA ROSSA la messaggera di un amore passionale e travolgente;
ROSELLINA SELVATICA – innocenza;
ROSA VARIEGATA – amore ardito.

La rosa tea evoca la gentilezza della donna amata;
la rosa borracina, la bellezza capricciosa;
la rosa canina, l’indipendenza;
la cappuccina, la pompa e lo splendore;
la rosa cannella, la maternità precoce;
la rosa del Bengala, la compostezza dell’anima, oppure: “siete bella nella prospera e avversa fortuna”;
la rosa di Cina ammonisce: “riconciliamoci”;
la rosa di Banks conferma: “voi siete bella nel riso e nel pianto”;
la rosa muschiata: “siete bella ma capricciosa” e “bada che la bellezza è caduca”;
la rosa multiflora augura fecondità.

Dicono possieda poteri magici e sia utile nei rituali per proteggersi da tutte le influenze negative.
Per tenere lontano i visitatori indesiderati da un giardino in cui si coltivano erbe magiche, si piantano tre rose rosse.

Ma la rosa è soprattutto il fiore usato per i filtri d’amore. Una miscela di olio di rosa, lavanda, gelsomino, muschio è così potente da rendere la donna irresistibilmente attraente.
Molto tempo fa, in parti d’Europa, le ragazze gettavano petali di rosa alla luce della luna, la vigilia del giorno di san Giovanni. Se al rintoccare di mezzanotte recitavano un particolare incantesimo avrebbero visto l’uomo da sposare. In Persia una ragazza poteva far tornare l’innamorato perduto bollendo la sua camicetta in acqua di rose e spezie.

ROSACROCE

Confraternita mistica che fa risalire la sua nascita allo gnostico alessandrino Ormus nel 46 d.c. e ai suoi discepoli che, convertiti al cristianesimo, vi avrebbero fatto confluire l’antico sapere egizio: Christian RosenKreutz (nato in Germania nel 1378 e morto a 106 anni) sarebbe stato iniziato all’ordine, non il fondatore, pur afferendo il proprio sapere alchimistico scientifico.
Il termine designa uno stato spirituale che corrisponde ad una conoscenza d’ordine cosmologico: hanno infatti un piano di riforma universale, politica, religiosa e artistica il cui fine è il miglioramento del mondo intero.
Una delle loro regole base è il curare i malati senza compenso e ciò che ho sperimentato personalmente è il loro dono dell’invisibilità e la possibilità di parlare tutte le lingue.
Invitano chi vuole aderire alla confraternita a manifestare la loro intenzione, ma affermano che per diventare dei loro non si deve cercarli; saranno loro a trovare il nuovo adepto, se degno.
La loro sapienza si rifà alla tradizione cristiana, ma anche alla cabala, all’alchimia, ai tarocchi e alle dottrine orientali induiste e buddiste.
Nella simbologia la rosa rosacrociana a cinque petali sta al centro della croce del Cristo rappresentandone così il suo Sacro Cuore: questo centro è dunque rivelato dalla congiunzione di due opposti, rappresentati dall’asse verticale e dall’asse orizzontale.
Il tratto orizzontale rappresenta il femminile (immanenza) quello verticale il maschile (trascendenza); su scala universale, il principio fenomenico e quello spirituale.
Esistono anche altre interpretazioni del simbolo, che si riferiscono all’evoluzione spirituale dell’uomo: la Croce ne rappresenta il corpo fisico e la rosa la personalità psichica e mentale in sviluppo, come la rosa che si apre lentamente alla luce.
La conoscenza e la sapienza dei Rosacroce sono difficilmente eguagliabili: non solo perché furono Rosacroce le persone più influenti e geniali di tutti i tempi (da Dante, a Paracelso, Leonardo, Comenio, Galileo, Bacone, Bruno, Mozart, Nostradamus, Shakespeare, Leibniz, Cartesio, ecc…), ma perché, leggendo gli scritti Rosacrociani, si ha spesso l’idea che costoro abbiano realmente un grado di conoscenze più elevate della media.

GUERRA DEI CENT’ANNI (DELLE DUE ROSE)

Simbolo di elezione e di segreto non a tutti accessibile – si pensi al cuore delle rose intuibile eppur recondito e nascosto – la rosa divenne attraverso i secoli un emblema ricorrente in stemmi principeschi d’oltralpe oltre che nell’araldica inglese.
Nell’Inghilterra medioevale, una rosa bianca campeggiava sullo stemma nobiliare degli York e una rosa rossa su quello dei rivali Lancaster famiglie entrambe rami cadetti di Enrico II Plantageneto (ramo di ginestra): la lotta per il potere vide opposte le due famiglie e prese il nome di “guerra delle due rose”
Nel 1485 dal matrimonio di Enrico VII Lancaster con Elisabetta di York nacque la casta dei Tudor e con essa la pace: sullo stemma fu raffigurata una rosa screziata bianca rossa.

VORREI CONCLUDERE CON DUE POESIE:

Rosa – Il vaso di Ilaria Gallinaro

Non ho bisogno
di te, splendida rosa,
per dire un’altra volta l’armonia
meravigliosa e fragile del mondo.
Oggi ha più voce il vaso in cui riposi.
A me basta guardare come l’acqua
aderisce al vetro trasparente
per sapere che niente sarà mai
così perfetto come quel contatto
o lo sarà per un istante eletto
molto più breve
di te, pallida rosa.
Mi basta per volere un’ora liquida,
esatta, in un cristallo
intatto e per sentire
il tempo sanguinare goccia a goccia
dalla boccia incrinata in cui s’annida
la mia vita, e la tua, rosa sfiorita.
Piana di Albidona, 17 luglio 2004

Clessidra di Chicca Morone

Nel lieve palpito
di un fiore che sboccia
c’è l’ultimo respiro
di un vecchio che muore:
ebbro di vita,
eppure non sazio.
Torino, 21 febbraio 2003

LA LETTERATURA IN FORMA DI FIORE: DA POLIZIANO A MARINO
Centro Pannunzio, 2 maggio 2012
di

Ilaria Gallinaro

…..Ogni metafora, trasportata nei secoli, si modifica, si adatta al sentire e alle idee degli scrittori. Vorrei tentare l’esperimento di una breve storia della letteratura in petali, vorrei provare a viaggiare dall’Umanesimo al Barocco, passando dal Rinascimento e dal Manierismo, soltanto leggendo le rose (naturalmente solo alcune, le più interessanti e famose) che hanno attraversato i testi importanti di quei periodi. L’immagine non cambierà il suo segno, sarà sempre lo specchio della brevità della vita, della sua dolcezza da assaporare al momento giusto, sarà l’eco costante del carpe diem, ma basteranno lievissime differenze a far percepire il passaggio da un secolo all’altro, un nuovo sentire.

…..Poliziano ci offre non una, ma infinite rose, nella sua canzone a ballo: un’ottava dedicata a tutti i fiori e tutto il resto alle rose. Una volta che lo sguardo si è posato sulle rose dimentica tutti gli altri fiori: pochi fiori hanno alle spalle un tale peso di storia letteraria e di leggenda (che qui si tralascia, ma che per Poliziano studioso e amante della classicità portava il nome di Claudiano e del De rosis nascentibus, allora attribuito a Virgilio). Tutto nel giardino di Poliziano è concreto e vivo, le rose sono di tutti i colori. Con la stessa dolcezza si passa dalla rosa in boccio a quelle appassite a quelle novelle. Poi si sceglie la più bella, la più fiorita, prima che sua bellezza sia fuggita. Il tempo fugge, ma noi possiamo allungare la mano e stringerlo, possiamo coglierlo, goderlo. E dopo averlo goduto contemplare eventualmente ciò che è passato, la rosa sfiorita, che porta comunque in sé la memoria della sua bellezza. Quando Poliziano esclama: “Mai non vi potrei dir quanto eron belle” chiude nell’elenco tutte le rose, non solo quelle appena in fiore. E se consideriamo i versi tratti dalle Stanze per la giostra l’idea di un presente che non è offuscato dal pensiero del passato e dall’ombra del futuro è nella rosa “che ‘n dolce foco ardea pur ora” e che “languida cade e ‘l bel pratello infiora”. Il tempo fugge: ciò che “pur ora”, cioè un istante fa, era bellissimo ora langue, ma nel suo morire riesce ancora a rendere bello il prato. I petali caduti dal fiore paiono piccoli fiori sull’erba e perfino la vecchiaia e la morte hanno il profumo di un fiore. E’ l’Umanesimo nella piena fiducia delle potenzialità dell’uomo, nella possibilità sempre aperta di afferrare il mondo, un mondo ordinato come un giardino o da ordinare come un giardino.

…..La rosa di Ariosto è già chiara similitudine della verginità di Angelica, mentre in Poliziano nell’uno e nell’altro esempio la metafora è implicita, e il testo esiste anche al di là del suo valore simbolico. Ossia la rosa vive anche nel giardino reale, autonomamente, anche senza significati secondi che pure esistono, non solo in quello della letteratura. Ariosto parla della rosa alludendo chiaramente ad altro o ogni elemento acquista un senso metaforico, a partire dalla spina, la ritrosia, il pudore. Come in Poliziano si leggono colori, ghirlande, giovani e donne innamorate, ma questa volta “verde” rima con “perde”. La rosa colta non ha più pregio e quel mondo d’aure, d’acque e di albe, svanisce nel gesto stesso del cogliere. In Poliziano la rosa si può cogliere e godere; qui si percepisce un certo tormento. Cogliere la rosa implica farla sfiorire. Goderne implica sottoporla all’azione corrosiva del tempo. Il verbo “perdere” infatti è ribadito due volte: la rosa perde “favor, grazia, bellezza, tutto”, come la vergine “perde” il pregio. In questa descrizione c’è già la follia di Orlando di fronte ad Angelica che si concede al povero Medoro. La follia di Orlando che nasce non solo e non tanto per la gelosia, ma soprattutto nel contemplare impotente un mondo capovolto, dove una principessa sceglie un povero fante come marito. In quel momento la rosa perde il fascino del non essere mai stata colta, perde la direzionalità che fino a quel momento aveva impresso all’andare di Orlando. Un Rinascimento già venato d’ombre.

…..La rosa del Tasso, tratta dalla ‘Gerusalemme Liberata’, nasce in un giardino incantato, in un’isola magica, creata dal gesto potente di una maga innamorata, che dal nulla inventa un paradiso d’amore per Rinaldo, cavaliere cristiano da lei rapito. La canzone sulla rosa riecheggia molto da vicino le parole di Poliziano (“cogliam la rosa in su ‘l mattino adorno”) e di Ariosto (da cui sono riprese le parole “verginella” e perfino alcune rime “inanti-amanti” e “verde-perde”), ma bisogna ricordare che questi versi sono messi in bocca (o meglio in becco) a un pappagallo, eccessivamente colorato e meravigliosamente intonato che canta per affascinare e incantare (ricorda l’etimologia della parola “incantare” come cantare su qualcuno, secondo l’etimologia anche latina per cui “carmen” vuol anche dire formula magica, in quanto le parole in versi sono sempre, forse, anche magiche) i due amici di Rinaldo, venuti per salvarlo. I richiami letterari, le citazioni sembrano una civetteria, da pappagallo, che ripete i luoghi comuni di una certa immagine che ha avuto tanta fortuna, ma nelle due ottave c’è una malinconia senza rimedio, come finora non s’è mai letta. Dietro il canto del pappagallo e le sue parole fin troppo note ci sono parole nascoste, proporzioni nuove: l’ottava intera che Ariosto dedica al fiorire della rosa, la ballata intera di Poliziano diventano qui due versi appena in cui si consuma la vita della rosa. Nasce e muore nello spazio breve di pochissime parole, chiusa nel rapido suono di due “ecco”, quasi contemporanei: ecco dispiega il seno nudo, ecco langue. Non c’è nemmeno il gesto del cogliere, non c’è più nemmeno l’ipotesi di una scelta: la rosa non è più il malizioso simbolo della verginità, ma l’immagine della vita mortale (sottolineo mortale), che scorre e langue senza che noi possiamo fermarla. “Così trapassa al trapassar d’un giorno”: la vita non passa, ma trapassa (come la vita di Silvia [Aminta 323] “io qui trapasso la vita ragionando” e come la vita triste del passero solitario “canti e così trapassi dell’anno e di tua vita il più bel fiore”), con una fatica che suona nella ripetizione del verbo, prima di tre, poi di quattro sillabe, quasi un trascinare la parola stancamente, che suona nella chiusura cupa del verso in vocali chiuse u e o, dopo la luce ambigua della molteplice a di trapassar.
Le negazioni del verso seguente (“né perché april ritorni, né si rinverde, mai”) coprono di malinconia del non ritorno anche la conclusione delle due ottave, dove si immagina la possibilità di cogliere la rosa. “Amiamo or quando (ma viene da chiedersi se, al di là del tono del pappagallo, c’è un quando e quanto possa durare) esser si puote riamati amando” (cfr. Aminta I 1, 26 : “essere amati riamando”). Anche l’amore dura quanto una rosa, due versi, due parole e non ha più l’eroica forza dantesca dell'”Amor a nullo amato amar perdona”. Si sfoglia e muore, come morirà in fretta l’incanto dell’isola magica: è un attimo, un sogno, un’illusione. La rosa di Poliziano capace di infiorare un prato anche quando è sfiorita qui non si rinfiora, non si rinverde. Il tema dunque è più universale: il tempo che scorre ha passato gli argini del concetto di verginità e giovinezza, per toccare la vita. Manierismo che gioca con la letteratura precedente, la deforma nella voce del pappagallo e stende su tutto l’inquietudine della labilità irrimediabile della vita. Tutto è così breve che anche l’invito a godere della vita suona falso e storto nella voce meccanica e non umana del pappagallo. Una cantilena ovvia, ma falsa, venata dell’unica verità possibile: il trapassare in un giorno.

…..La rosa di Marino ha bisogno di sei ottave per raccontarsi. Dai due versi in cui il Tasso chiude la brevità della vita alla lunghissima descrizione in cui la rosa viene eternata. La rosa è rossa del sangue di Venere (che si è punta su una spina ed elogia la rosa perché l’ha fatta avvicinare ad Adone), tinta dei colori più lucidi e smaltati, delle metafore più preziose e peregrine. E’ una rosa eterna, che non muore mai: “porterai sempre un picciol sole in seno”, una rosa non toccata dal tempo, che non ha paura di aprirsi e di “scoprire le sue pompe”, superba e bella. E’ una rosa di pietra, una “tazza di rubini”. Dopo che la rosa languente del Tasso ha incurvato i petali delle fresche e serene rose di Poliziano e di Ariosto non resta che inventare una rosa artificiale, incantata dal sangue di una dea, smaltata di colori eterni e innaturali, su cui il tempo non passi più. Opposto al mai del Tasso si apre il sempre di Marino, ma è un sempre senza alcuna profondità, poichéil tempo non esiste più. Il mondo di Marino è un mondo di dèi eternamente giovani, che non conoscono il trapassar del giorno, ma nemmeno, forse, il vero colore delle rose, che Poliziano sapeva tanto vario (“vidi le rose, e non pur d’un colore”). E’ il Barocco, il trionfo della meraviglia contro la provvisorietà della vita, del catalogo contro il disordine del mondo, della galleria d’arte contro la natura. Non importa che una rosa muoia, ci sarà sempre un quadro a rappresentarla.

TESTI

– 1. Angelo Poliziano, Canzone a ballo
I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Erano intorno vïolette e gigli,
fra l’erba verde, e vaghi fior novelli,
azzurri, gialli, candidi e vermigli:
ond’ io porsi la man a côr di quelli
per adornare e mie biondi capelli,
e cinger di ghirlanda el vago crino.

Ma poi ch’ i’ ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose, e non pur d’un colore;
io colsi allor per empier tutto el grembo,
perch’era sì soave el loro odore
che tutto mi senti’ destare el core
di dolce voglia e d’un piacer divino.

I’ posi mente quelle rose allora:
mai non vi potrei dir quanto eron belle!
Quale scoppiava dalla boccia ancora
quale erano un po’ passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: “Va’ co’ di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino”.

Quando la rosa ogni suo foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a mettere in ghirlande,
prima che suo bellezza sia fuggita.
Sì che, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.

– 2. Dalle Stanze per la giostra, I 78
ma vie più lieta, più ridente e bella,
ardisce aprire il seno al sol la rosa:
questa di verde gemma s’incappella,
quella si mostra allo sportel vezosa;
l’altra, che ‘n dolce foco ardea pur ora,
languida cade e ‘l bel pratello infiora.

– 3. Ludovico Ariosto, Orlando Furioso I 42, 43
La verginella è simile alla rosa,
ch’in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avicina;
l’aura soave e l’alba rugiadosa,
l’acqua, la terra al suo favor s’inchina:
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate.

Ma non sì tosto dal materno stelo
rimossa viene e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che ‘l fior, di che più zelo
che de’ begli occhi e de la vita aver de’,
lascia altrui corre, il pregio ch’ avea inanti
perde nel cor di tutti gli altri amanti.

– 4. Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, XVI 14,15
“Deh mira,” egli cantò, “spuntar la rosa
dal verde suo modesta e verginella,
che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa,
quanto si mostra men, tanto è più bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
dispiega; ecco poi langue e non par quella,
quella non par che desiata inanti
fu da mille donzelle e mille amanti.

Così trapassa al trapassar d’un giorno
de la vita mortale il fiore e ‘l verde;
né perché faccia indietro april ritorno,
si rinfiora ella mai, né si rinverde.
Cogliam la rosa in su ‘l mattino adorno
di questo dì, che tosto il seren perde;
cogliam d’amor la rosa: amiamo or quando
esser si puote riamato amando”.

– 5. Giovanni Battista Marino, Adone, III 156-161
Rosa riso d’amor, del ciel fattura,
rosa del sangue mio fatta vermiglia,
pregio del mondo e fregio di natura,
de la terra e del sol vergine figlia,
d’ogni ninfa e pastor delizia e cura,
onor de l’odorofera famiglia,
tu tien d’ogni beltà le palme prime,
sovra il vulgo de’ fior donna sublime.

Quasi in bel trono imperadrice altera
siedi colà su la nativa sponda.
Turba d’aure vezzosa e lusinghiera
ti corteggia d’intorno e ti seconda;
e di guardie pungenti armata schiera
ti difende per tutto e ti circonda:
e tu, fastosa del tuo regio vanto,
porti d’or la corona e d’ostro il manto.

Porpora de’ giardin, pompa de’ prati,
gemma di primavera, occhio d’aprile,
di te le Grazie e gli Amoretti alati
fan ghirlanda a la chioma, al sen monile.
Tu, qualor torna a gli alimenti usati
ape leggiadra o zefiro gentile,
dài lor da bere in tazza di rubini
rugiadosi licori e cristallini.

Non superbisca ambizioso il sole
di trionfar fra le minori stelle,
ch’ancor tu fra i ligustri e le vïole
scopri le pompe tue superbe e belle.
Tu sei con tue bellezze uniche e sole
splendor di queste piagge, egli di quelle.
Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo,
tu sole in terra, ed egli rosa in cielo.

E ben saran tra voi conformi voglie,
di te fia ‘l sole, e tu del sole amante.
Ei de l’insegne tue, de le tue spoglie
l’aurora vestirà nel suo levante;
tu spiegherai ne’ crine e ne le foglie
la sua livrea dorata e fiammeggiante;
e per ritrarlo ed imitarlo a pieno
porterai sempre un picciol sole in seno.

E perch’ a me d’un tal servigio ancora,
qualche grata mercé render s’aspetta,
tu sarai sol tra quanto fiori ha Flora
la favorita mia, la mia diletta.
E qual donna più bella il mondo onora
io vo’ che tanto sol bella sia detta
quant’ ornerà del tuo color vivace
e le gote e le labbra. – E qui si tace.

Ilaria Gallinaro – Maggio 2012

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