“LE AVVENTURE DI PINOCCHIO”
Alberto Tallone Editore
Il 17 maggio 2016, a Torino presso la sala congressi dell’Unione Industriale, a cura de “Il Mondo delle Idee” si è tenuta la presentazione di una ennesima stampa di “Le avventure di Pinocchio”, questa volta ad opera delle Edizioni Tallone in una versione tanto preziosa quanto raffinata.
Relatori dell’incontro, cui ha partecipato un numerosissimo pubblico particolarmente attento, sono stati il dottor PierFrencesco Bernacchi, presidente della Fondazione Nazionale Carlo Collodi; l’esperto bibliofilo Roberto Cena; il professor Antonio Miredi e le sorelle Tallone, che non hanno bisogno di presentazione per chi ama i libri e le edizioni speciali. A coordinare il tutto, la Presidente de “Il mondo delle Idee” Chicca Morone che, assieme agli altri, ha accompagnato i presenti nel magico mondo di Pinocchio.
Riportiamo qui l’intervento integrale di Chicca Morone.
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È la prima volta che mi capita di presentare un libro in cui la maggior parte del pubblico (e a volte anche dei relatori) ne conosca il testo: tutti più o meno lo abbiamo letto o ce lo hanno letto.
Nonostante sia destinato ai bambini, “Le avventure di Pinocchio” sono tutt’altro che una fiaba, ma è piuttosto il viaggio iniziatico di una creatura, costruita “per gioco”, per essere un divertimento, manovrata dal creatore per trarne guadagno; creatura che si ribella e diventa ciò che in potenza ogni essere è.
Come sempre, cerco il mito ovunque e anche in questa occasione non mi lascio scappare qualche riflessione, venuta in seguito a una piccola informazione. Carlo Collodi (nato nel 1826) nel 1845 riceve dal Vaticano la dispensa per accedere ai libri messi all’indice e nessuno può sapere dove si sia diretta la ricerca del papà di Pinocchio: la biblioteca Vaticana raccoglie opere di Giordano Bruno, Cecco d’Ascoli ecc. oltre ad altri più fortunati e non messi al rogo.
Così mi sono divertita a cercare nel testo riferimenti che avessero a che fare con la mia ricerca attraverso i miti, gli archetipi ecc.
Se Psiche per ricongiungersi all’amato Cupido deve superare 4 situazioni drammatiche (non a caso è la suocera Venere che le impone), le occasioni di Pinocchio per il ricongiungimento delle tre istanze (padre, madre e relazione con i due) – se vogliamo tra maschile, femminile e sintesi dei due – sono parecchie.
Viene spontanea una qualche assonanza con l’Essere che ha un Padre falegname (il cui nome è caratterizzato dalle due labiali “PP” – una Madre Fatina dai capelli turchini – capelli che ricordano un manto azzurro sulle spalle) che viene impiccato (cioè morte per soffocamento) abbandona il corpo e in seguito risorge.
La storia del burattino si snoda orizzontalmente, in un percorso lineare. Solo quando infine riesce a trovare il proprio centro, a non essere trascinato fuori da specchi della propria personalità ancora grezza che gli propongono deviazioni dalla retta via, il burattino diventa umano riconoscendo il proprio codice.
A tutti sono noti la storia e i personaggi che Pinoccgio incontra fuggendo nel tentativo di rendersi indipendente da Geppetto: è la storia di una fuga, una continua fuga per non essere afferrato, per tagliare quei fili invisibili che lo tengono legato alla mano del creatore e alla sua volontà. Geppetto, per altro, non gli ha fatto le orecchie per cui non può neanche lamentarsi di non essere ascoltato!
La relazione che più mi ha affascinato è quella con Lucignolo; ovviamente perché essendo sempre stata dalla parte dei nativi americani, degli ebrei in catene, se vogliamo dei Cambogiani sterminati in 1.800.000 su una popolazione di 3.300.000 dal 1973 al 1975, una punta di amarezza nell’ assistere alla dipartita del bel Romeo/asino mi ha colpito. Il vero nome è Romeo, grande amante che si suicida quando crede che il proprio amore sia perduto: viene chiamato Lucignolo per la sua struttura fisica estremamente esile.
Lucignolo ha a che fare con la LUCE, con la chiarezza, qualità che in sé non conserva, visto che trascinando Pinocchio nella città dei Balocchi condanna sé e l’amico alla trasmutazione in asino. Luce porta però in Pinocchio quando testimonia che misera fine può fare chi non si attiene al proprio codice morale: è ridotto a un lumicino dopo aver consumato il proprio corpo (materia) e si spegne emettendo il proprio nome.
Povero Lucignolo… Sì, lo so: prima c’è il dovere poi il piacere; ma come mai per Pinocchio la stessa situazione si delinea in altro modo?
Perché Pinocchio viene gettato in acqua dall’artigiano che lo ha comprato per farne un tamburo, destinandolo ad essere divorato dai pesci per cui liberato dalla carne dell’asino?
Geppetto gli ha dato il nome che doveva dargli FORTUNA.
Forse perché il destino del burattino è già delineato attraverso il nome?
Siamo destinati alla realizzazione nonostante le stupidaggini che facciamo da un’impronta iniziale?
E qui entriamo in un discorso diverso sulla predestinazione e il libero arbitrio.
Se volessimo paragonare la vita a una partita a scacchi capiremmo che ogni nostra azione comporta conseguenze ineluttabili; per cui, pur avendo la possibilità di scegliere fra più possibilità, la necessità delimiterà sempre più la libera scelta, rendendo la fase finale del gioco non in balia della fortuna, bensì della capacità di prevedere i risvolti delle proprie azioni.
In fondo, Pinocchio, dopo un’iniziale ribellione sconsiderata a tutto, sa benissimo quello che dovrebbe fare, perché un codice interiore ce l’ha e si tratta solo di renderlo preponderante.
E se vogliamo andare alla parabola del figliol prodigo… esiste un premio per chi sperimenta, non per chi resta accucciato al riparo da tentazioni, ma anche dalla vita vera!
Pinocchio il suo percorso lo fa: rischia, cerca l’auto-riconoscimento toccando alcune figure dei Tarocchi:
– 4 L’imperatore (c’era una volta un re…) volendo reggersi sul proprio potere
– 8 La giustizia (incontri continui con carabinieri e magistrati)
– 12 L’impiccato che dà una svolta al suo essere
– 13 La morte (attraverso l’aria) da cui resuscita grazie alla Fatina (istanza femminile)
– 16 La torre (di Babele) raglia e non parla, non può comunicare con il resto del mondo
– 20 Il giudizio quando esce dal pescecane (morte e rinascita attraverso l’acqua) con Geppetto (istanza maschile)
– Matto e Bagatto quando abbandona la forma di legno lasciata sulla sedia di legno (polvere alla polvere – morte attraverso la terra) e diventando un ragazzo, quindi anche lui in grado di CREARE.
Come non andare col pensiero al testo sufi ”La rosa mistica del giardino del Re” dove il percorso iniziatico nella discesa fino al cuore è proprio attraverso le immagini dei tarocchi contenute in una torre triangolare in cui i numeri si susseguono in modo elicoidale, come rappresentassero la catena del DNA?
Un giusto equilibrio fra ciò che è il motivo della nostra venuta sulla terra e il modo di realizzare tale sogno non è poi così semplice: è che veniamo al mondo senza il libretto delle istruzioni, per cui alleviamo i figli come pensiamo sia meglio, venendo a scoprire che abbiamo sbagliato almeno quanto lo hanno fatto i nostri genitori: così fa Geppetto con la propria creatura, dandogli tutto quello che lui non aveva avuto (compresa la giacchetta per comprare l’abecedario), imprimendogli però il nome che sarà l’impronta della sua vita, PIN-OCCHIO.
PIN (ghiandola pineale, centro della nostra visione, la vista oltre il visto) e OCCHIO (specchio dell’anima) per riconoscersi / specchiarsi nella divinità, come giustamente suggerisce il dottor Massimo Brighenti.
Una domanda viene immediata: quando si diventa davvero umani/figli di Dio? Per Pinocchio la via è chiara.
Il donare tutto quello che ha (si priva del denaro che ha guadagnato per comprare il bicchiere di latte a Geppetto e aumenta il suo secondo lavoro per aiutare la Fatina in miseria) rimanendo senza la pelle/abito che lo divide dagli altri, lo fa diventare ragazzino.
È l’amore che mette insieme le due istanze in noi e ci fa diventare davvero umani per poi trascendere nell’illuminazione.
L’avventura del burattino ci insegna che non si è più legati ai fili di un Mangiafuoco: quando non si subiscono le influenze esterne, per cui si agisce e non si reagisce; quando il regno delle emozioni viene controllato da una lucida (ma non asettica) razionalità;
quando il mondo interiore ha il suo spazio e viene vissuto con quel sereno distacco dalle pulsioni esterne.
Chicca Morone