La nostra InterSvista ad Angelo Gaccione

D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. Non so se esiste davvero un talento innato, e se esiste riguarda forme estetiche diverse dalla scrittura, che so: saper disegnare, avere una bella voce da tenori, ecc. Ma per la scrittura non basta il talento, ci vuole un mestiere che si impara col tempo, ci vuole una pratica, ci vuole una profonda esperienza di vita, uno studio forsennato e caparbio. Quel che ho imparato in tutti questi anni è una cosa sola: come non devo scrivere

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto? Oppure: quanti libri occorre leggere per poter scrivere professionalmente?
R. Dipende dal genere. Per scrivere un dramma come La Porta del Sangue, sul genocidio Valdese nella Calabria del Cinquecento, ho studiato molto ed ho letto molti libri non solo di natura storica e cronache del tempo, ma trattati religiosi, epistolari, biografie, ecc. E soprattutto opere da cui ho mutuato le formule dell’espressività medievale-cinquecentesca.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perché?
R. Ho praticato tutti questi generi nella mia lunga carriera, compreso il teatro, la fiaba e la musica. Sempre c’è stata una motivazione profonda, un obbligo insieme estetico e morale ad un tempo. 

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Le cose profonde necessitano sempre di profondità, è stato così nel passato ed è così oggi. Il pressappochismo e la superficialità sono indice di poco studio e di poca cultura. Come ho scritto in un libretto di aforismi: “Chi si occupa di cultura dovrebbe almeno procurarsene una”. E questo ovviamente costa fatica. 

D. Di chi è la maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. Di chi non legge. I libri restano la merce più a buon mercato che conosco, e se ben tenuti i libri durano di più di qualsiasi altra. Le biblioteche pubbliche sono stracolme e a costo zero si può scegliere un libro decente senza alcuna difficoltà e tenerselo un intero mese. Si dà la colpa quasi sempre alla televisione, ma io ricordo la battuta di Groucho Marx “Considero la televisione un mezzo molto istruttivo: ogni volta che in casa mia la accendono, me ne vado nell’altra stanza a leggere un libro”.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Forse scandalizzerò se dirò che non mi importa granché né dell’una né dell’altro. Di casi clamorosi la nostra società consumista e dell’intrattenimento -basata sulla pubblicità ossessiva delle merci – (anche il libro lo è diventato), ce ne ha rivelati parecchi. Parodiando quanto il mio compianto amico scrittore Giuseppe Bonura, ha magnificamente annotato in uno scritto del 1971, bisogna scrivere per l’uomo della Vergogna, l’uomo che senta questa vergona di essere un uomo del Compiacimento, del Consenso e dell’Ottusità, a cui lo hanno ridotto, perché vergognandosi se ne possa liberare. Anche uno solo di questi lettori può bastare. 

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Quali editori? Non esistono più da tempo gli editori, esistono funzionari con i quali i rapporti sono “liquidi” e “virtuali”. Ce n’è qualcuno per fortuna piccolino e sognatore, quasi sempre in perdita, con cui ogni tanto si riesce a condividere qualche grammo di follia.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Hai idea di come funzionano i premi di un certo peso? È un mercato, fra cordate editoriali e gruppi di appartenenza, della peggiore specie. All’autore vincitore quei soldi fanno comodo (spesso però è uno già ricco di suo) e lo aiutano a vendere un discreto numero di copie. Un tempo era così, non so se lo è ancora. Attorno ai pochi rimasti non credo ci sia più l’interesse dei mass media come avveniva in passato.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica o ad una lobby culturale?
R. La risposta è già tutta nella domanda. Io ho sempre scelto la marginalità per non averci a che fare.

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. I tempi di attesa sono così lunghi e le Case Editrici sono sommerse di dattiloscritti. Tuttavia un autore di talento troverà di sicuro chi ne sa valutare il peso. E poi esistono per fortuna luoghi diversi per potersi esprimere: giornali, riviste, blog. Ho fiducia che non rimarrebbe nell’ombra, da qualche parte c’è sempre un “Odissea” in ascolto…

D. Può durare oltre la sua generazione la fama di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. Sì, ricordiamoci che a galleggiare è sempre ciò che ha poco peso, e la società di massa è la più vorace di ciò che è mediocre.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. Penso che qualunque autore serio non sia mai del tutto soddisfatto del risultato. Però càpitano delle epifanie: alcuni testi poetici sento che sono perfetti e rileggendoli ne provo piacere.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Il tempo muta le idee e il sentire, perfeziona lo stile. Le cose scritte in una età più giovanile e ingenua portano i difetti di quella ingenuità. Se non sono moralmente riprovevoli bisogna essere un po’ più comprensivi e meno feroci verso di esse, appartengono pur sempre al travagliato percorso che ha portato ad esiti più maturi e validi.

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Mi esalta. Provo gioia e ammirazione per la genialità altrui, per l’intelligenza che la pervade. Se appartiene ad un amico ne sono inoltre orgoglioso.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. Per me la scrittura è divenuta un obbligo morale e così la esercito. Per gli aspetti più inventivi e artistici, ho prodotto delle cose non indegne. Non so se davvero i racconti de La striscia di cuoio siano così perfetti come è stato detto e scritto da più parti. Non mentono, questo è vero, la vita si sente nella sua verità e lo stile ha una sua grazia, ma pagine degne ci sono in vari scritti e se faccio un bilancio credo di aver detto quanto avevo da dire.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui vivi? Cosa detesti?
R. Abbiamo conosciuto la musica e l’arte, abbiamo avuto il privilegio di una terra tra le più belle al mondo, ma non ce ne siamo presi cura come avremmo dovuto e come dovremmo. Questa è per me motivo di grande amarezza. Non abbiamo saputo eliminare la guerra dalla storia ed abbiamo fatto diventare il Potere un Moloch, un mostro spietato e sanguinario. È incredibile come un uomo così intelligente abbia messo in pericolo le fonti della sua stessa esistenza: acqua, aria, suolo. Potrebbe rivelarsi come la peggiore delle creature intelligenti che l’evoluzione abbia prodotto.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Che gli uomini non possano vivere senza farsi la guerra.

D. Qual è il valore più importante che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Non siamo certi che la vita possa continuare eterna sulla terra, allo stato attuale non possiamo saperlo, i dati mostrano il contrario. È proprio questa ragione che dovrebbe spingerci a difenderla in tutte le sue forme, a prendercene cura ed essere solidali. Renderla meno infame per quelli che verranno dopo di noi, lasciarla un po’ meglio di come l’abbiamo ereditata. Abbiamo fatto già troppi guasti, non so se sarà possibile e se ci fermeremo qui. È un’aspirazione del cuore, ma la mia ragione vacilla.

***

 

 

CONDIVIDI