D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. No, vedo il talento come un indispensabile punto di partenza che va però coltivato, educato perché possa esprimersi al massimo del suo potenziale; direi attraverso molta lettura e tanta, tantissima pratica di scrittura.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Difficile dirlo, perché vivo la lettura come qualcosa che, il più delle volte, prescinde da ciò a cui sto lavorando. Se però considero che ogni libro, ogni articolo, ogni racconto scritto contiene un po’ della memoria razionale o inconscia di tutto ciò che ho letto, direi che le microporzioni di testi inclusi in quello che scrivo superano i mille volumi. Speriamo che ogni tanto si noti…

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perchè?
R. Il giornalismo perché mi piace commentare o raccontare le storie vere: la narrativa, perché amo inventarne altre inesistenti, soltanto probabili.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Credo di sì. E’ difficile, direi impossibile non tenere conto di quanto il campo della conoscenza si sia allargato, e con quale vertiginosa rapidità nell’ultimo cinquantennio, soprattutto nel campo delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Sono dell’avviso, però, che senza la vecchia, classica preparazione umanistica di base, tutto ciò che vi si sovrappone somigli ad una struttura posticcia, traballante, di certo approssimativa. Insomma, svalutazione della cultura di fondo + esaltazione delle iper specializzazioni = Era delle lacune e dell’incapacità di strutturare il pensiero.

D. Di chi è la maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. Considerando che il libro è diventato un oggetto di consumo identico a una pentola, che l’editoria ha preso un carattere più aziendale che culturale, direi che la colpa va equamente ripartita tra chi immette sul mercato libri barbosi e inconsistenti (generosi eufemismi), e noi lettori-polli che li consumiamo. E poi, le parole insopportabili come “stress” e derivati, fanno sì che la gente si posizioni passivamente, per invereconde ore, davanti alla televisione: un oggetto rumoroso che aiuta a rimbecillire, che – mera informazione (capziosa) a parte – è un portento di efficacia per come sa stroncare qualunque necessità di bellezza, di buon gusto, di crescita interiore.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. L’insuccesso di critica? Mi sentirei alquanto frustrata. Un grande successo di pubblico? Esaltazione del conto in banca e, come risultato, l’esaltazione della mia impudenza. Tanto da indurmi a comperare, come prima cosa, proprio la critica. O almeno a provarci, ma scommetto forte che l’operazione riuscirebbe. A qualcuno è riuscita di sicuro.

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Ho avuto tre editori soltanto e la grande fortuna d’imbattermi in persone facili da amare. Per il prossimo giro, chiedo solo un corretto e costruttivo rapporto di collaborazione.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Non amo partecipare a questo genere di “corpo a corpo” con i miei colleghi. Li stimo, voglio continuare a stimarli. E a far finta di credere nell’imparzialità delle giurie.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. Ma certo. Qual’è l’ambiente professionale in cui non serve l’appartenenza al “gruppo” più dinamico, più aggressivo, più potente e pre/potente? Chi poi azzecca anche la squadra vincente, ha di fronte un futuro splendente!

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Mi sembra improbabile, se non ha il vezzo di chiudere a chiave le suo opere in un cassetto. Più facile, invece, che venga dimenticato, isolato o svilito dalla critica se non si è vend … No, oggi il vendersi ha un sapore troppo definitivo, dunque se non si è “affittato” ad una delle lobbies culturali o pseudoculturali di cui sopra.

D. Qual è il tempo massimo di fama per un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. Non supera la sua generazione.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Non sino ad ora, ma perché dovrei esimermi dal mettere in bilancio una possibilità d’errore e, cosa più confortante, la presa di coscienza e la correzione dell’errore stesso?

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Mi emoziona talmente leggere un grande libro, un grande autore che, per tutto il perdurare dello stato d’incantata apnea, mi sento un inutile microbo letterario. Poi mi accorgo che quella lettura è stata una straordinaria occasione di conoscenza, di riflessione, di crescita. E torna il desiderio di proseguire per la mia strada.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. Credo proprio di no, e ci rimarrei male se scoprissi che, invece, sì.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui in vivi? Cosa detesti?
R. Amo le mille, comode invenzioni che oggi facilitano il vivere quotidiano. Odio l’impressione – quando c’è – che siano loro a dominare me, piuttosto che io a dominare loro. Altra cosa: amo la “globalizzazione” intesa come comunione di culture e d’intenti, come elemento equalizzatore dei troppi divari. La odio, invece, nell’unica versione ad oggi evidente, e cioè in quanto monumento alla demagogia e marcia universale verso la superficialità, l’ignoranza, l’egocentrismo; tutti in corsa, da un capo all’altro del mondo, verso l’Oscar al più becero dell’anno.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. L’odierno credo che ha l’effetto più urticante sulla mia pelle, e che ritengo funesto in generale, è l’oramai sancito diritto all’abuso di legittima difesa. Che si rivela troppo spesso, invece, un pretesto ipocrita per calpestare in assenza di sensi di colpa i diritti e la sensibilità degli altri. E ancora: mettetemi un “buonista” davanti agli ochi e divento cattiva.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Considerando che in questo nostro ricco, materialista Occidente del benessere alla fin fine stiamo tutti da cani, proporrei una rivalutazione della dimensione spirituale, a prescindere dalla connotazione propriamente religiosa. Comunque, chissà che non giovi proprio al “bene-essere” interiore un ritorno all’adorazione del Padreterno, magari a scapito delle genuflessioni davanti al cellulare.

D. Dando un voto da 1 a 10, quanto sono della persona e quanto del “personaggio” le tue risposte in questa interSvista?
R. Punteggio pieno in relazione alla persona (tenuto conto delle inevitabili omissioni). In quanto al personaggio, chiedo tempo per inventarmene uno.

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