D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. La parola “talento” mi suscita molta diffidenza, perché spesso viene usata a sproposito. Credo prima di tutto che serva molta disciplina, e letture, e applicazione. Però il “sacrificio” è condizione necessaria ma non sufficiente: se il tutto non è animato da una sensibilità particolare, da uno sguardo più acuto, spesso da un temperamento “poetico”, il risultato può essere semplicemente la noia. E la sensibilità, l’amore per la vita, la curiosità non si imparano.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Tanti, proprio tanti. Per “La via dei lupi” non ho fatto il conto, ma parecchie decine. E’ un lavoro frutto di anni. Per descrivere una battaglia medievale di 3-4 pagine ne ho letti due, e sono a stento bastati. Per una scena di scacchi un altro paio, anche qui appena sufficienti. Per onestà devo aggiungere che non sempre li leggo tutti, se non sono narrativa: vado alle pagine che più mi interessano, il resto lo leggo di corsa, a occhio, cercando le parole chiave. In questo il mestiere di giornalista, allenato a dare la caccia agli errori, a distinguere i caratteri, mi aiuta. I libri che ho letto e annotato sono un patrimonio che mi accompagna sempre, mentre scrivo. Spero di accumularne ancora: un segno inequivocabile di dilettantismo è scrivere più di quanto si legga.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perchè?
R. Il giornalismo mi ha catturato subito data la varietà dei miei interessi (storia, ambiente, letteratura, archeologia), e anche perché credo nel suo carattere di denuncia sociale, di poter dare un piccolo contributo alla società. Mano a mano ho imparato a servirmi anche della narrativa, per comunicare meglio. Da sempre mi appassionava ma l’avevo un po’ abbandonata ai tempi dell’università, quando per forza di cose dovevo leggere molti saggi. Anche adesso ne leggo, ma molti meno, perché in genere (salvo alcune eccezioni) mi sembrano noiosi, accademici.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Francamente non lo so, perché l'”ieri” non l’ho vissuto. Ma pensando agli “attrezzi” di molti scrittori e pensatori (le biblioteche di Montaigne, o di grandi del passato, non mi pare fossero sterminate come quelle di oggi, a volte solo qualche decina di volumi), non mi pare che serva una cultura sterminata, o superiore al passato. L’occhio sì, la sensibilità, come ho detto: se non c’è quella si può imparare la Treccani a memoria, come diceva De André, e combinare comunque poco.

D. Di chi é la maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. Prima di tutto dell’organizzazione “economica” della società (risposta alla moda, in passato), cui non interessa avere lettori o teste pensanti ma consumatori, videodipendenti. Ma anche gli scrittori e chi fa i giornali non sono immuni: le cose noiose, fiacche, furbe, scritte non per tutti ma per 4 gatti che hanno il potere, scoraggiano i giovani alla lettura.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Come uno stimolo a migliorarmi, a raffinarmi. Finora è successa una cosa
simile con “La via dei lupi”, che hanno comprato 10 mila persone, e letto forse il doppio, visto che un libro si presta, ma che non è stato recensito allo stesso modo, anche se alcuni critici importanti mi hanno scritto complimentandosi. Ma questo è dovuto al fatto che come esordiente non sono famoso, “trendy”. Io credo nella critica onesta, che può migliorarti. Molti però criticano per far vedere quanto sono bravi, e c’è anche molta invidia più o meno nascosta, nell’ambiente.

D. Il tuo rapporto con l’editore é generalmente più d’amore o di odio?
R. Amore senz’altro, anche se poi ogni scrittore è narcisista e vorrebbe essere seguito di più, appoggiato di più, eccetera. Io come esordiente non posso che ringraziare Luigi Spagnol, che ha creduto in me… E naturalmente per il prossimo libro gli romperò le scatole di più, perché ci creda ancora di più.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa ?
R. Questo è un campo molto sdrucciolo: io di importantissimi non ne ho vinti, ma in genere non mi pare che ti carichino di soldi. Però ti danno status, e puoi chiedere di più all’editore, essere più venduto, più tradotto all’estero. Un indotto che significa più soldi, ma non, spero, più narcisismo. La vera cultura, la vera intelligenza, è anche senso del limite.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. Mah, spero proprio di no! Piuttosto l’appartenenza a un salotto, le amicizie “che contano” e che ti recensionano, ti citano, eccetera.

D.E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Credo sia difficile, se ha abbastanza tenacia per superare le delusioni, per produrre e proporsi con convinzione. Si pubblica veramente di tutto, gli editori hanno fame di gente brava…

D.Quanto può durare il successo di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R.Mah, anche qualche anno, se riesce a crearsi o a sfruttare le amicizie giuste. O anche tutta la vita, certe volte. Meglio non far nomi, ma ce n’è!

D.Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. In parte sì, ma poi bisogna vedere cosa diranno l’editor, i lettori, i critici… La lettura è un processo individuale, ognuno immagina qualcosa di soggettivo, fa lavorare la fantasia a suo modo. Alcune cose piacciono ad alcuni e non ad altri. Io dò il meglio di me stesso, in termini tecnici e di passione, poi il resto lo fanno gli altri.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. Finora no, se non per scritti di gioventù. Rivendico il diritto, in qualche misura (senza giri di boa) di cambiare idea.

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Mi stimola, eccome. Intanto di conoscere chi l’ha scritta, di complimentarmi, di “confrontarmi” per imparare. C’è posto per tutti: “Male cammina qual si fa danno del ben fare altrui”, diceva Dante. Molti invece hanno un atteggiamento meschino, verso chi sotto sotto ammirano. Una sindrome da Salieri, che danneggia ancora di più chi ce l’ha.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. Certo che no… vorrei scrivere un thriller erotico! Scherzo, ma non troppo. Ogni stagione della vita, immagino, esprime cose e sentimenti diversi, che lo scrittore cerca di manifestare. “La via dei lupi”mi ha fatto torcere le budella, mentre la raccontavo. Ancora adesso mi commuovo, se ci penso. Certo, avrà dei difetti, ma sono contento di com’è venuta, corrisponde a quello che volevo dire. Quindi, per questa fase della mia vita, è l’opera che negli anni avrei sempre voluto scrivere. Poi si vedrà: “le cose cambiano”.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui vivi? Cosa detesti?
R.La possibilità di comunicare, di viaggiare, anche se è un privilegio di noi occidentali. Ma detesto l’arroganza, la superficialità, la mancanza di valori e non quelli economici.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Che la società di classi non esiste più.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. Il senso della giustizia sociale.

D. Dando un voto da 1 a 10, quanto sono della persona e quanto del “personaggio” le tue risposte in questa interSvista?
R. Sono al 100%, dieci e lode, della persona: primo perché sono così (con tutti i miei difetti). Cioé il “personaggio” tende a coincidere con la “persona”. E poi perché sto parlando con un’amica, una persona che stimo, e l’amicizia,
per me, è sacra.

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