F_Davide PucciniLA NOSTRA INTERSVISTA A DAVIDE PUCCINI

D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. Assolutamente no, tranne rarissime eccezioni. Scrivere bene richiede un lungo apprendistato, anche scolastico, e un esercizio continuo. Certo, il talento non guasta.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Mi viene in mente la risposta data da uno scrittore oggi quasi dimenticato, nato come me il 12 gennaio, Giuseppe Rovani, autore del vasto romanzo Cento anni, a chi gli chiedeva di quanti libri aveva avuto bisogno per scriverlo: «Dica piuttosto di quanti litri» (era un accanito bevitore). Scherzi a parte, non si può stabilire una regola: per l’edizione della poesia volgare del Poliziano, che ho curato anni fa per Garzanti, ho letto o riletto centinaia di libri, non esclusi molti classici greci e latini; per una mia raccolta di versi, magari nessuno, almeno non per l’occasione specifica.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perché?
R. Mi sono dedicato fin da giovane alla saggistica filologica e alla curatela di molti classici italiani antichi e moderni, ho pubblicato cinque libri di poesia e infine anche un romanzo: ogni genere mi ha catturato per ragioni diverse (il dominio razionale della filologia, la sintesi fulminante della poesia, la capacità di analisi del romanzo), ma se dovessi dire dove mi porta il cuore, direi la poesia, che è l’espressione più complessa e completa di sé stessi.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Direi di no, anche se oggi si tende a scrivere senza alcuna preparazione.

D. Di chi è la maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. C’è una lunga catena di responsabilità, che parte dalla scuola, la quale non solo non promuove la lettura, ma anzi fa di tutto per rovinare il piacere che procura, attraversa una società che pubblicizza come apprezzabile solo ciò che è facile e non comporta fatica, e finisce con gli editori che riempiono i banchi delle librerie di paccottiglia.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Mi sembra molto improbabile, anche perché oggi la critica si allinea al successo di pubblico, ma nel caso me la godrei un mondo.

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Amore e odio sono parole un po’ forti, ma provo da una parte riconoscenza per la fiducia che l’editore mi ha concesso e dall’altra rammarico per quanto non ha fatto per promuovere il libro o, peggio, fastidio per qualche tentativo di intervenire sul testo.

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Credo di sì, ma bisognerebbe averlo vinto per saperlo.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. Vorrei rispondere di no, ma soprattutto l’appartenenza a una lobby culturale conta eccome.

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Credo che un grande scrittore prima o poi venga scoperto, per quanto abbia voluto restare nell’ombra.

D. Può durare oltre la sua generazione la fama di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. Penso di no. La morte è giusta dispensiera di glorie.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. Sì, fino all’ultima virgola.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. No, mai. 

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Prima di tutto mi entusiasma, perché per fortuna tra i miei peccati non c’è l’invidia, e quindi mi stimola: anche se ho la consapevolezza che magari non arriverò mai a certi vertici, è bene proporsi come modello un autore alto valore e non mediocre. 

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. Se rispondessi di sì, vorrebbe dire che sarei già morto senza saperlo.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui in vivi? Cosa detesti?
R. Non c’è molto da amare in questo tempo di decadenza e di corruzione, forse la facillità e la rapidità delle comunicazioni. Detesto in particolare la tendenza a un eterno carnevale senza quaresima.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Che il successo e il denaro non diano la felicità. Intendiamoci: che non la diano è vero, ma certo aiutano; altrimenti non si capirebbe perché mai siano così ricercati.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R. In generale la solidarietà, come diceva un certo Leopardi. E in particolare, per chi si proclama cristiano, l’amore per il prossimo, come diceva un certo Gesù.

Febbraio 2017

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