D. Per scrivere da professionisti, basta il talento innato?
R. Come per ogni altra forma d’arte, il talento è il punto di partenza. Sono fondamentali anche la tecnica e lo studio, la documentazione continua. Troppi sono gli autori (scrittori, sceneggiatori, giornalisti) pseudoprofessionisti, maestri di presunzione e superficialità, nelle cui “opere” campeggiano imprecisioni, strafalcioni ed assurdità, che mi fanno lo stesso effetto del gesso quando stride sulla lavagna.

D. Su per giù quanti libri hai letto per ogni opera che hai scritto?
R. Se si intende lettura di testi utili a ricerche per ciò che si scrive, dipende da cosa sto scrivendo.
Non sempre sono libri interi, ma il tempo che dedico all’accuratezza di ciò che scrivo è molto.
A volte anche per scrivere una sola parola posso impiegare delle ore, perché voglio essere sicura che sia quella giusta. Nel caso di racconti gialli, non posso rischiare di scrivere che si è avvelenato qualcuno con la parte di una pianta priva di principio attivo oppure che la stessa si trova ad un’altitudine alla quale non può vivere e così via. Non si può scrivere contando sull’impreparazione di chi legge, ci sarà sempre quell’esperto in materia che prima si fa una bella risata e poi ti fa cattiva pubblicità con gli amici.

D. Poesia, narrativa, saggistica, giornalismo: se un genere ti ha catturato più degli altri, sai il perchè?
R. Amo gli autori che sanno rendere la prosa poesia, quelli nelle cui menti le parole passano da solitari cristalli dispersi a disegni meravigliosi, come nelle figure composte in un caleidoscopio. Sono quelli che hanno una tale conoscenza e dimestichezza con la lingua, che possono plasmarla nei modi più straordinari. Leggerli mi appassiona e affascina molto.

D. La scrittura di oggi esige una differente preparazione culturale rispetto a quella necessaria ieri?
R. Direi che non c’è proprio paragone. Ritornando al confronto con altre forme d’arte, è come guardare una scultura moderna e poi ripensare ad un’opera di Michelangelo.

D. Di chi èla maggiore responsabilità se in Italia si legge così poco?
R. Del modo frenetico in cui si vive, da una parte, e della grande pigrizia, dall’altra. Sembra un controsenso, ma svolgendo i propri doveri velocemente, quando ci si rilassa si è perso il piacere di leggere un buon libro: per molti è più facile accendere la televisione. Grande importanza hanno comunque i genitori e la scuola, cui spetta il compito di insegnare l’importanza e la bellezza della lettura, come mezzo per ampliare la conoscenza ed esercitare l’immaginazione.

D. Come lo vivresti un eventuale insuccesso di critica e successo di pubblico?
R. Benissimo. I critici hanno fallito giudicando in modo pessimo dei puri talenti, in passato come oggi.

D. Il tuo rapporto con l’editore è generalmente più d’amore o di odio?
R. Vorrei che fosse d’amore, ma fino ad’ora è stato di odio. La grande editoria non ti considera se non sei un personaggio (e arriva a pubblicare delle vere insulsaggini soltanto perché sono state scritte da quel tale particolarmente noto) e gran parte di quella piccola ha elaborato abili strategie, che le consentono di promettere in modo sibillino ciò che non potrà mai mantenere e cioè la distribuzione nelle librerie. Non parliamo poi di quelli che ti chiedono “un piccolo contributo” per pubblicare…

D. Vincere oggi un importante premio letterario, appaga l’Ego dell’Autore tanto quanto soddisfa la sua borsa?
R. Dipende dal premio, alcuni prevedono la pubblicazione dell’inedito a cura di discrete case editrici, in questo caso potrebbero essere soddisfatti entrambi.

D. Incide, nel successo di uno scrittore, l’appartenenza ad una corrente politica o ideologica?
R. Come in tutte le cose, putroppo sì. Ha già aperti e ben attivi i canali di pubblicità e promozione, che gli garantiscono da subito visibilità: un trampolino non da poco.

D. E’ possibile, oggi, che un grande scrittore non venga mai scoperto e resti per sempre nell’ombra?
R. Ritengo che la sorte di una persona dipenda molto da fortuna e capacità di prendere le occasioni al volo. Se entrambe non le appartengono lotterà per sempre senza ottenere risultati.

D. Può durare oltre la sua generazione la fama di un mediocre scrittore asceso agli allori per ragioni “promozionali”?
R. Direi di no, è già molto grave che duri anche soltanto per un breve periodo.

D. Quando metti la parola fine a una tua opera, hai la consapevolezza di quanto sei riuscito a dare o a non dare?
R. Non so, sicuramente c’è dentro tutto il sentimento che mi ha dominato mentre lo scrivevo: rabbia, dolore, amore, gioia. Ma ogni lettore ha il suo modo di recepire ciò che legge. Mi è capitato di scoprire delle cose nuove sui miei scritti proprio dai commenti di chi li aveva letti.

D. Hai mai provato il desiderio di rinnegare qualcosa che hai scritto?
R. No, ma un po’ di timore per le reazioni di qualcuno a ciò che ho scritto, talvolta sì. Non si deve avere paura della verità, ma a volte fa male.

D. Leggere un’opera altrui che giudichi eccellente ti stimola o ti scoraggia?
R. Sono già consapevole prima di leggerla che non mi avvicinerò mai a tali livelli, ma mi stimola perché posso sempre imparare e ciò mi aiuta a migliorare.

D. Hai già scritto l’opera che hai sempre voluto scrivere?
R. L’opera perfetta: che abbia adorato scrivere, che sia premiata, che venda decine di migliaia di copie e con la quale sia riuscita a trasmettere emozioni forti e dare messaggi importanti e utili a cambiare qualcosa. È la mia utopia.

D. Prima, durante, dopo il parto letterario: cambi umore durante queste tre fasi della scrittura?
R. Prima c’è l’entusiasmo delle idee che sento di voler esprimere, durante la bella fatica (dovuta soprattutto al fatto che devo conquistare e ottimizzare il tempo per poterci lavorare) della loro organizzazione e dopo la soddisfazione per il lavoro fatto.

D. Cosa ami del mondo e del tempo in cui in vivi? Cosa detesti?
R. Apprezzo la velocità raggiunta nelle comunicazioni, tramite mezzi come la posta elettronica ed i messaggi con i telefoni cellulari, anche se amo molto scrivere lettere, come si faceva una volta, e amerei riceverle. Detesto il potere che hanno i media ed alcuni potenti del settore di creare i cosiddetti nuovi mostri, individui privi di qualsiasi qualità e soprattutto talento che vengono innalzati a dei livelli di notorietà ingiusti e spropositati e anche tutte le trasmissioni televisive di chiacchere assolutamente vuote e inutili, che infestano i palinsesti delle principali reti.

D. Quale luogo comune, imperante nel nostro tempo, vorresti sfatare?
R. Tra i tanti, almeno due.
Il fatto che si pensi che l’uomo, inteso come maschio, moderno abbia finalmente capito l’importanza e la bellezza della parola condivisione. Molti uomini si comportano ancora come dei trogloditi beandosi nel meschino ruolo di padre-padrone.
L’inganno che ci vogliono propinare le nostre istituzioni riguardo al fatto che si sono fatti dei concreti progressi negli aiuti per la gestione delle famiglie. Non esiste una legge seria e risolutiva riguardo al part-time, il numero di asili nido è ancora irrisorio (e i costi di molti sono proibitivi), e si permette che esistano ancora responsabili di imprese che si sentono dei feudatari. Essi impongono politiche aziendali che considerano soltanto le ore passate dietro ad una scrivania (perché amano circondarsi di servi della gleba ed averli sempre a disposizione) e non ciò che viene fatto ed in quanto tempo, escludendo di fatto persone che da una parte lavorerebbero soddisfatte senza rubare lo stipendio e dall’altra avrebbero tempo per dedicarsi ad altro, a ciò che sicuramente è più importante, la loro famiglia.

D. Qual è il valore più importate che ritieni vada difeso o recuperato?
R.
Anche qui, almeno due. Il rispetto ed il buon gusto. Il rispetto che si impara sin da piccoli quando ci insegnano a dare del “Lei” e a dire “Per favore” e “Grazie”. Il buon gusto, che si è totalmente perso, dal modo di vestire a quello di comportarsi.

D. Dando un voto da 1 a 10, quanto sono della persona e quanto del “personaggio” le tue risposte in questa interSvista?
R.
Non sono un personaggio, quindi 10 alla persona.

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