Egregio signor Governo,
la scuola – ovvero il leopardiano “vecchierel canuto e stanco” – si è mossa. La cara vecchia carcassa, cadente, lasciata in disparte, poco curata, abbandonata a vagare su gambe malferme, si è mossa e per un miracolo che solo nel mondo dei sogni e dell’immaginazione è possibile, è apparsa come giovane fanciulla, dal volto fresco, sorridente, perché piena di stupore essa stessa per la sua trasformazione. La scuola si è mossa, come da tempo non accadeva. Ed era tempo!

Quando si muove la scuola, così compatta allora vuol dire davvero che qualcosa sta maturando, che qualcuno sta cominciando o continuando a pensare a dispetto di tanti tentativi per addormentare il cervello.
Ma ora non voglio fare l’apologia di una scuola che è apparsa giovane e bella, mentre in realtà continua a essere vecchia e stanca e bisognosa di cure. Voglio ringraziare queste due leggi: il decreto sui tagli contenuto nella finanziaria e la legge Gelmini perché grazie alla loro assurda impostazione, grazie alla loro inverosimile e arrogante idea di scuola e di società hanno scatenato un mondo di pensieri che restavano chiusi, muti, senza voce.
Credevo che i ragazzi fossero tutti addomesticati, invece non è vero.
Credevo che i ragazzi non sapessero mettere in fila due parole per trarne un discorso e invece non è vero.

Molti giovani non avranno saputo all’inizio perché protestavano (mi ricordo il bel film americano “Fragole e sangue”, dove il protagonista inizia ad occupare la scuola per amore di una ragazza e poi prende coscienza), ma ora lo sanno e si vede da come parlano quando sono intervistati, quando li chiamano alla trasmissioni televisive (i media si sono svegliati, incredibile!). Questi ragazzi non so se sono il nostro futuro, i migliori e più fortunati se ne andranno, da noi posto per il merito ormai non c’è più, non so come cresceranno, quanto si conformeranno, quando la loro spinta vitale si smorzerà. Non lo so, adesso però hanno dimostrato che davvero un’onda (come si definiscono, termine bello e poetico) può ingrossarsi e arrivare a riva con effetti dirompenti.

Mi sono piaciuti perché sono politici senza essere funzionali ai partiti, perché non sono violenti, non sono bulli, non sono razzisti, non sono fascisti. Almeno come onda sono apparsi così, dando alla scuola quella giovinezza, quel vigore che aveva perso.
Ora non so che accadrà, i giovani e i meno giovani vogliono continuare a lottare, in modi diversi. Sono certa che si voglia lottare non solo contro il decreto Gelmini e la tagliola della finanziaria, ma contro un sistema che rende la scuola così vecchia, così stanca quasi su una sedia a rotelle.

Chi manifesta vorrebbe una scuola diversa, anche il governo pare volere la stessa cosa.
“Bene caro Governo anch’io voglio una scuola diversa, che mi proponi? Lavoriamo insieme?”
“No”, mi risponde il Governo, “faccio da solo, il potere è mio. E che faccio? Tolgo finanziamenti a tutti, belli e brutti, bravi e meno bravi (non alle scuole private però!)”.
Per questo si lotta, non per mantenere privilegi ecc. ecc. come è stato detto (persino da Umberto Eco; è vero che il successo dà alla testa), ma perché la scuola sia curata. Le cure possono fare male, si deve tagliare qualche escrescenza, qualche bubbone, ma nella natura se poto un ramo secco è per farne nascere uno vivo e vitale non per tagliare e uccidere.

Insomma, per chi non l’avesse capito questo governo toglie soldi alla cultura e basta senza nessun altro intervento, toglierà soldi alla Normale di Pisa come alle università telematiche sorte nei luoghi più impensati.

Finitela, voi del governo, di dire che non capiamo, che abbiamo frainteso, che siamo fazioni, invece abbiamo ben capito che il succo è questo: tagli.
Se qualcuno ancora difende queste leggi sulla scuola allora vuol dire che:
– odia la cultura
– è ricco e tanto ha a disposizione le private
– ha il cervello risucchiato in qualche televisione commerciale, forse sperduto sull’isola dei famosi, o cacciato in una buca della talpa.

Sono proprio arrabbiata e disperata e insieme contenta e grata alla scuola che non si arrende.

Maria Rosa Panté

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