Caro Marchionne, manager globale di altissimo bordo;
affido a questo piccione viaggiatore una semplice domanda per Lei, la cui risposta interesserebbe, più ancora che alla sottoscritta, all’intera classe lavoratrice del nostro Paese. Eccola.
Di ciò che Lei afferma, questa volta, possiamo fidarci? E possiamo darLe fiducia malgrado le dichiarazioni sostanziali che riguardano un’azienda italiana provengano da una conferenza stampa indetta a Ginevra?
Questa distrazione di scarsa finezza possiamo capirla: Ginevra è assai prossima a casa Sua, il Suo discusso domicilio fiscale è la Svizzera. Torino è rimasta la città di nascita di una FIAT che non esiste più, malgrado noi sabaudi facciamo ancora finta di credere che un minimo di rilevanza metalmeccanica, la nostra città, ancora ce l’abbia.
Che Torino in particolare e l’Italia in generale le stiano strette è ovvio, quindi… transeat e  torniamo al punto della fiducia perché Lei, a partire dal 2004 (data in cui ha preso in mano le redini dell’azienda), di cose ne ha dette molte: alcune risultate attendibili, altre meno. Molto meno.
Ora, per l’appunto da Ginevra, Lei parla a noi italiani di Pomigliano, stabilimento d’eccellenza del Sud che produce la Panda, e annuncia che la Panda, lì, non si produrrà più. Ma niente panico; è già pronta una strategia alternativa e nessuno finirà sulla strada: “Pomigliano sa fare di meglio”, ammette, e dunque produrrà soltanto modelli “premium” (Alfa, Maserati, Renegade, ecc… Veicoli globali di alto bordo, cioè al pari del Suo stile di management).
Bene, ma la Panda? Oh bè, di quella se ne parlerà nel 2019/20 e verrà fabbricata altrove. “Altrove”, d’accordo, ma dove? Si dice in Polonia, dove il costo del lavoro è di molto inferiore a quello italiano. Non è mai stato un governo polacco a rimpolpare la FIAT nei momenti di crisi, ma nuovamente… transeat su di un passato che per Lei è irrilevante, ma assai meno lo è per noi, eterni, spremuti contribuenti del Bel Paese.
Mentre i più ritengono pessima cosa la delocalizzazione produttiva verso l’Est, va benissimo invece per Lei e per il Gruppo di cui è dirigente d’alto bordo. D’altronde, è ciò che conta: da un solo individuo che è Amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles N.V, di FCA Italy, Presidente e Amministratore delegato di FCA US, Presidente di CNH Industrial N.V. e Ferrari N.V., Amministratore Delegato di Ferrari S.p.A., vicepresidente di Exor S.p.A. e membro permanente della Fondazione Giovanni Agnelli, cosa dovremmo aspettarci, che non badi in primis alla legge del profitto? A maggior ragione se il Suo ingegno viene pagato attorno ai 7 milioni di Euro l’anno: un nonnulla se il rientro è adeguato e se i Suoi datori di lavoro sono soddisfatti.
Ma Lei, Marchionne, è pagato da chi? Dalla “famiglia”, naturalmente; quella che per decenni ha fatto capo all’avvocato per eccellenza, a quel Gianni Agnelli che la legge del profitto, di certo, non l’ha mai ignorata ma che sapeva diplomaticamente, signorilmente prendere (tanto) con la mano destra e restituire (qualcosa) con la sinistra; alla sua Torino e all’intera Italia industriale.
Già, ma l’avvocato Agnelli se n’è andato anni fa portandosi appresso un indiscusso carisma, un’eleganza innata, un fascino sornione ed un passionale spirito sportivo che lo hanno fatto apprezzare, se non amare, ovunque, da chiunque e malgrado tutto.
Della sua cospicua eredità, però, l’avvocato ha omesso di lasciare alcuni elementi ai superstiti della famiglia: ad esempio, proprio il senso della famiglia e dell’italianità. E infatti Lei, caro Marchionne, non è più manager di alcuna famiglia. Il sangue degli Agnelli si è talmente diluito, talmente frammentato in mille rivoli stranieri che pare non ne resti un solo globulo rosso, bianco o – meno che mai – blu. A voler essere ancora più puntuali, agli eredi maschi sembra mancare anche la giusta dose di testosterone di cui, invece, il disinvolto nonno era dotato in abbondanza. Dettaglio irrisorio: mentre ben più grave, quasi imbarazzante, è che degli Agnelli non rimanga nei quadri dirigenti che contano in azienda neppure quello stesso cognome noto nel mondo, sin dai primissimi anni del ‘900, per la sua italianità.
Della “famiglia”, insomma, non sopravvive che un pretenzioso piglio padronale, un’indisponente stile esterofilo e, ovviamente, la connotativa “erre” moscia degli Agnelli tutti. Ma per fortuna c’è Lei, Marchionne: con le Sue lauree, master ed esperienze provvidenziali per la crescita del Gruppo in ogni dove, ma in Italia no. Pensa che questa realtà possa, ai nostri occhi, renderla amabile?
Alla fin fine, sa qual è l’unica cosa di Lei che può suscitare uno spontaneo “italian smile”?
E’ il sapere che la sua prima laurea, conquistata in Canada, è stata in Filosofia. Filosofo, dunque umanista, Lei? Davvero, c’è da morir dal ridere! Lei che, di fatto, è devoto seguace solo del massimo profitto, patito cultore delle leggi di mercato, gelido scrutatore dei listini di Borsa. Proprio Lei, che all’ultima riga del Suo vocabolario di pensieri, parole ed azioni, ci mette il lemma “umanità”!
Riuscire simpatico agli italiani, caro Marchionne, è altresì l’ultima delle sue priorità, lo sappiamo e ce ne facciamo una ragione: in questo senso parlano da sé i famigerati golfini blu girocollo, seppure in doppio o triplo cachemire, che Lei indossa irrispettosamente, da spocchioso menefreghista anche al cospetto delle più altre cariche di Stato.
Eppure, mi creda: uno sforzetto in più per entrare in sintonia con noi, italica gente, non le nuocerebbe. Potrebbe persino indurci ad avere un po’ di fiducia in Lei quando, da Ginevra, ci lancia addosso delle anticipazioni a dir poco inquietanti.
Ma la simpatia, si sa, è un tratto tipicamente umano e Lei, Marchionne, di umano-umanista-umanitario e uman-qualunquecosa non mostra, e forse non ha, niente di niente: solo una vecchia laurea canadese, di certo presa per sbaglio.
A/6

***

CONDIVIDI